Ci voleva il civilista Giuseppe Conte per sbrogliare la matassa regolamentare e le scatole cinesi giuridiche in cui nel corso degli anni si è andato a ficcare il Movimento 5 Stelle. Conte lo sa bene, ha ascoltato due settimane fa con l’avvocato Andrea Ciannavei, che si occupa delle beghe legali del M5S, e domenica scorsa ha incontrato Beppe Grillo a Marina di Bibbone. L’ex presidente del consiglio formalmente non ha ancora sciolto la riserva, sta studiando il modo in cui ridisegnare il Movimento 5 Stelle e dettare le condizioni.

A COMINCIARE dalla prima: conviene davvero portarsi appresso la bad company pentastellata? Lo abbiamo chiesto a Lorenzo Borrè, l’avvocato che ha curato (e vinto) numerose cause contro il M5S. «Sicuramente riazzerare tutto sarebbe la soluzione più semplice – dice Borrè – Ma comporterebbe il cambio di nome e di simbolo che indebolirebbe la posizione di Grillo». In altri termini, se Conte volesse liberarsi della zavorra regolamentare e dei contenziosi pregressi dovrebbe togliere al fondatore il potere di dire l’ultima parola e staccare la spina a qualunque leader in qualsiasi momento. Difficile che Grillo sia d’accordo. Dev’essere per questo che i due, Conte e Grillo abbiano convenuto di tenersi il vecchio involucro e di riformarlo il più possibile. Qui si arriva al Comma 22, al paradosso irrisolvibile, che riguarda la piattaforma Rousseau: da lì bisogna passare per cambiare lo statuto. Il che ha suggerito innanzitutto a Grillo di trovare una mediazione con Davide Casaleggio, dopo giorni di tensione arrivata al culmine e le due parti ad un passo dal divorzio quando quest’ultimo ha lanciato «ControVento», il suo documento programmatico, e la maggior parte dei parlamentari non ha avuto remore a considerarlo fuori dal M5S.

MA IL DIVORZIO non è così facile, come Grillo ha capito. Per questo Casaleggio tenta una via d’uscita definendo il documento: «un codice etico di riferimento, ma anche un perimetro solido e ben definito di termini e condizioni di utilizzo dell’ecosistema Rousseau». Tradotto: andiamo verso una modifica profonda delle regole e del modo di funzionare, cerchiamo almeno di fissare dei principi. Conte non ha mai fatto mistero di voler perimetrare l’azione di Rousseau e definire tramite contratto, come si fa tra soggetti giuridici distinti, le rispettive funzioni e i servizi che la piattaforma dovrà fornire al nuovo M5S. Sarebbe un passaggio non da poco, visto che al momento l’unico modo per aderire al M5S è iscriversi a Rousseau.

NON SARÀ FACILE trovare la giusta via di mezzo tra rottura e collaborazione, anche perché deputati e senatori vorrebbero chiudere i rubinetti verso l’associazione di Casaleggio. E mantenere in vita l’organismo a 5 che doveva sancire il passaggio alla direzione collegiale del M5S. Conte e Grillo anche su questo hanno idee diverse dalla base degli eletti. Al massimo si potrebbe concedere l’esistenza di un corpo intermedio che funga da camera di composizione delle diverse anime. Difficile che rientri Alessandro Di Battista, col quale Conte da premier manteneva un rapporto nell’ottica di parlare ad un pezzo della base grillina. Si fa il nome di Virginia Raggi, che non si è mai ufficialmente candidata al direttorio. Lo aveva fatto, però il suo fedelissimo Paolo Ferrara, consigliere comunale all’assemblea capitolina. Raggi per tutelare la sua candidatura, osteggiata anche dentro al M5S romano, ha bisogno di mettere un piede nei piani alti pentastellati.

INFINE, CONTE avrà il compito di sciogliere il nodo del tetto dei due mandati, formalmente ancora in vigore per i parlamentari. Grillo (con Casaleggio) ha sempre detto che quella regola non si tocca. I big al governo e in parlamento non si esprimono su questo tema perché si dicono in conflitto di interesse. Il che significa che dovrà essere il nuovo leader a spendersi per togliere loro le castagne dal fuoco. Ma è difficile che riesca a convincere tutto lo stato maggiore del M5S a cambiare tutto senza garantire la possibilità di ricandidarsi.