Nonostante l’affluenza in ascesa rispetto a tre anni fa ma non proprio alta, e una carica «anti-politica» che va oltre la stessa capacità elettorale del Movimento 5 Stelle, Virginia Raggi è in netto vantaggio nella corsa delle elezioni comunali romane.

La sua battaglia per il Campidoglio, nonostante i dissidi all’interno dei pentastellati e una qualche difficoltà a raccogliere fondi, pareva iniziata in discesa di fronte alla lotta fratricida dei candidati del centrodestra, alla lenta partenza di Roberto Giachetti.

Raggi, invece l’aveva spuntata contro il collega Marcello De Vito dopo la consueta consultazione online tra grillini. Ha preso in mano il pallino del M5S. Ancora una volta previo sondaggio in rete, ha stabilito le sue priorità programmatiche: il traffico e la mobilità, il «decoro» e la pulizia urbana e la trasparenza degli atti amministrativi. E poi la promessa, rinnovata anche di fronte alle domande di questo giornale, di opporsi ad ogni privatizzazione. Ancora, la Raggi ha adoperato parole selezionate: la costruzione del suo discorso in queste settimane ha avuto l’obiettivo di non spaventare nessun elettore e proporsi come portatrice del rinnovamento in nome dell’ «onestà». Ciò non le ha impedito di stabilire un’ interlocuzione, seppure da posizioni fermamente legalitarie, coi movimenti sociali che le chiedevano risposte circa la gigantesca operazione di sgomberi e rimessa a bando degli spazi sociali che da decenni costituiscono la spina dorsale del welfare dal basso di una città fiaccata dalla crisi dei suoi asset principali (il commercio, il mattone selvaggio e il pubblico impiego).

La (presunta) rimonta di Giachetti era stata annunciata con la forza della disperazione dai dirigenti del Pd un paio di settimane fa, all’indomani dello scivolone di Raggi circa la disponibilità a dimettersi di fronte a una richiesta del «garante» Grillo.
Il dato del 36, 2 per cento delle proiezioni sembra andare persino oltre il trionfale risultato romano delle politiche del 2013 (27, 27 per cento alla Camera), quando però l’affluenza era stata molto più alta.

La giornata campale di Raggi è cominciata alle 13, quando è atterrata a Fiumicino, di ritorno dal Festival dell’economia di Trento. Un rapido passaggio a casa e poi a votare al suo seggio nel quartiere Ottavia. Qui ha risposto ai fotografi che l’attendevano al varco contro-fotografandoli col telefonino, lo strumento simbolico della partecipazione virtuale grillina. Le ore che la separavano dai primi risultati si sono consumate al coworking di via Tirone, ai piedi del gasometro di Ostiense, che solo nelle ultime giornate è stato scelto come base e quartier generale. E che non ce l’ha fatta ad accogliere i quasi duecento cronisti accreditati e l’entusiasmo dei sostenitori: tutti si sono spostati in mezzo alla strada.

La percezione che l’astensione avrebbe penalizzato soprattutto Raggi era diffusa soprattutto nel direttorio grillino, tanto che un peso massimo, in termini di contatti e capacità comunicativa, come Alessandro Di Battista ancora nel tardo pomeriggio di ieri aveva sentito la necessità di mobilitare la base: «È assurdo che una minoranza decida per la maggioranza degli italiani – ha affermato con enfasi Di Battista su Facebook – Andate a votare, anche perché se non si danno certi segnali poco a poco ci toglieranno anche la possibilità di farlo. Dipende tutto da noi».

«Andiamo avanti per la nostra strada»dice Raggi quando le si chiede del secondo turno. A ripercorrere la serie storica dei ballottaggi del Movimento 5 Stelle, parrebbe agevole la conquista del Campidoglio: i grillini hanno sempre fatto il pieno dei voti che nel primo turno erano andati agli altri candidati, a conferma della loro capacità di raccogliere consensi trasversali. Come e se i romani continueranno a seguire le indicazioni dei partiti al secondo turno, è la posta in gioco della partita appena iniziata.