Leggo questo giornale da più trent’anni, ci scrivo da quasi dieci. Tutto quello che immagino di rendere esplicito del mio diario in pubblico di storie, soprattutto sociali e del lavoro, ma anche del mondo della cultura, dei ribelli dell’immaginario, o reportage narrativi, la letteratura ibrida che più mi sta a cuore, li immagino da sempre su queste colonne dal conio unico che nel tempo hanno cambiato grafica, formato, senza mai tradire il progetto eretico originario, il nostro vero Patrimonio da difendere.

Se per caso arrivo in un posto dell’Italia o straniero del Mondo, la prima cosa che mi viene in mente è di scrivere quello che ho visto, di raccontarlo se mi ha commosso, e di pensarlo per il mio giornale, cioè una comunità di donne e uomini che tutti i santi giorni lo leggono per riconoscersi, ma anche per sorprendersi, e regalarsi un racconto diverso, originale, che nessuno dei giornali padronali fa; dirci che un libro può cambiare all’improvviso lo sguardo, che una lettera può colpire al cuore, che un saggio può dirci la verità sul Potere, svelandone la ferocia, un reportage o un articolo aprirci gli occhi.

Per me scriverci è un onore e una passione, una forma di amore e di condivisione. E tutte le volte che arrivo in zone di montagna, o in paesini collinari, isole comprese, la mattina, appena sveglio, raggiungo la prima edicola e cerco il manifesto. Davvero non bevo il caffè prima di averlo in mano, e spaginandolo lo sento intimo come una parte di me che saluta il nuovo giorno, criticamente. Per non perdere questo nutrimento quotidiano, bisogna abbonarsi, leggerlo, e allungargli la vita.