Mondadori pubblica nell’aprile del 1994 L’alta febbre del fare, la seconda raccolta di poesie di Pietro Ingrao, otto anni dopo Il dubbio dei vincitori che lo stesso editore aveva stampato nel 1986. Nel 1994 Ingrao toccava gli ottanta anni. Nel 2000 licenzierà un terzo volume di poesie, Variazioni serali per i tipi de il Saggiatore.

Tra le carte, alla morte di Ingrao avvenuta nel settembre del 2015, si conserva una cinquantina di componimenti ordinati per la stampa che restano fino ad oggi inediti, gli ultimi datati agli anni 2008 e 2009. E di poeta era stato l’esordio di Ingrao, nel 1934, a diciannove anni, salutato dall’apprezzamento di Giuseppe Ungaretti.

Le tre raccolte testimoniano una elaborazione del linguaggio e delle modalità compositive che afferisce a registri diversi, pur nella continuità d’una poetica riconoscibile nei temi e nelle forme. Da L’alta febbre del fare trascrivo Canto dell’educazione. Un testo, tra altri del medesimo tenore, assai ‘lavorato’, dotto, e di non piana interpretazione. Lo scelgo perché offre l’opportunità di riportare per esteso un commento di Ingrao medesimo a quei suoi versi, alle relazioni tra poesia e ‘politica’. Si tratta di un brano registrato nel 2010, nel corso di una delle numerose conversazioni che Maria Luisa Boccia ed io avemmo modo di intrattenere assiduamente con lui.

Ecco dunque il testo di Canto dell’educazione: «Non si vide levarsi in volo/le mosche.//Si mangiava regolarmente/in piedi, le narici in silenzio. E il grande sonno/ascendere dall’unghia, adattarsi il sesso, come/dall’uno all’altro polo/la ghirlanda delle autostrade./Tale dolce zuppa di cane/sulla tiepida tovaglia.//C’è un organo nella chiesa./Non saprete mai/che dolcezza spande/a incantate formiche, vocate/a perseguirsi nella rupe dell’altare.//E un passo d’ape: così calmo, lento, inesorabile».

Ed ecco le interessanti notazioni di Ingrao alla lettura del testo: «È tutta l’invenzione, l’intreccio del vivere. Alla fine non c’è mai una ricostruzione logica e razionale di quello che succede. “E il grande sonno/ascendere dall’unghia”: il sonno che ti viene dalla parte meno fantastica. Cioè una cosa altamente impossibile. Singolare il sonno che ascende dall’unghia. Il sonno lo pensi come la testa che entra in movimento, la fantasia, l’inafferrabile e invece “il grande sonno ascendere dall’unghia”, pensa tu la bizzarria dell’evento. E così “(…) adattarsi al sesso, come/dall’uno all’altro polo/la ghirlanda delle autostrade”: bèh, l’avvicinamento di cose incredibili e impossibili. Tu pensa queste tre cose insieme, il sesso maschile, il suo adattamento, detto come paragonato alla ghirlanda delle autostrade. E poi: “Tale dolce zuppa di cane/sulla tiepida tovaglia”: c’è la stessa invenzione a sorpresa. Tutto è come si incrociano eventi profondamente differenti e incomunicabili l’uno con l’altro e che, invece, si combinano come una qualche invenzione curiosa e straordinaria. Si delinea una dimensione apocalittica. C’è un elemento catastrofico, perché ci sono una serie di atti congiunti uno con l’altro. Atti o cose che non corrispondono a una nozione normale, ma indicano un diverso unirsi di eventi e di soggetti. Danno l’idea, come posso dire? di un terremoto, di uno scuotimento che però non è riportabile ad un ordine razionale e a un procedere normale delle cose, dei corpi. C’è come una sospensione, un’interruzione, un vaneggiamento molto vicino al delirio, senza nemmeno toccare quell’acme massima. È la ricerca di un linguaggio inedito che renda questa complessità dell’umano, l’irriducibilità dell’umano ad una formula o a un ordine anche. È un’immagine molto critica rispetto al moderno. Noi siamo segnati, intrisi da questa continua funzionalità, strumentalità, e lì io voglio ricordare l’ineffabilità che c’è dentro e che non è riducibile all’irrazionalità, con cui pure mi incontro, giorno per giorno, aprendo i giornali. Una immagine che spiega anche l’uso della poesia cioè il ricorso a modi di essere dell’umano non catalogabili con determinati schemi, che sono quelli che ci troviamo di fronte. È un dire, attenti che la politica non coglie tutta la complessità, se vogliamo usare questa parola, dell’umano, c’è un andare oltre, un collocarsi oltre la norma, la regola».