Il colpo di stato è una cosa seria. Richiede competenza e organizzazione. Non basta incitare la folla. E se fallisce, diventa temibile autogoal. Trump non ha imparato nulla dai suoi famigerati predecessori.

Siano essi Papadopoulos, Videla o Pinochet. A differenza di Trump, nessuno di loro era presidente in carica, cioè con la possibilità di fomentare nell’ombra disordini e di rappresentarsi come salvatori della patria. Per non parlare dei mezzi di informazione: ogni golpista sa che bisogna silenziarli il prima possibile, e invece Trump è stato silenziato dai social. I golpisti degli anni Settanta e Ottanta inoltre potevano contare su un formidabile alleato esterno che garantiva loro legittimità: l’Ambasciata degli Stati uniti d’America. Ma guarda caso, le 192 Ambasciate di Washington si sono indignate per quanto stava accadendo.

A differenza di Lukashenko, il dittatore bielorusso, Trump poteva vantare il credito di essere stato democraticamente eletto nel 2016. Dopo le elezioni, lui e Melania sono stati trionfalmente accolti alla Casa Bianca da Barack e Michelle Obama, che di fronte alle telecamere hanno esibito sorrisi a 32 denti: un prodigio dell’ortodonzia Usa che attestava la legittimità della sua elezione. A differenza del Tenente colonnello Tejero, quello che armato di una pistola riuscì a tenere sotto scacco il Parlamento spagnolo per 18 ore nel 1981, The Donald aveva appena messo in saccoccia ben 74 e rotti milioni di voti. Un numero enorme, e ne sarebbero bastati molti meno per essere eletti in qualsiasi precedente elezione.

Sì, certo, erano sempre sette milioni e mezzo di meno di quelli raccolti da Sleepy Joe, ma non c’è stato golpista che ha mai racimolato un tale consenso elettorale. Eppure, non gli è bastata la valanga di voti per trovare accoliti nelle istituzioni. Dal 4 novembre abbiamo assistito a bocciature delle sue pretese: i governatori repubblicani hanno certificato la sconfitta del loro candidato, la Corte suprema, nonostante la maggioranza repubblicana 6 a 3, non ha accolto il ricorso per invalidare le elezioni in quattro Stati. Più Trump strillava, e più il suo consenso si assottigliava. A nulla sono valse le sue telefonate intimidatorie.

Esercito e servizi segreti hanno osservato con rassegnata condiscendenza. E gli organi di informazione non sono mai stati in 230 anni di storia così sarcastici verso un Presidente degli Stati uniti. Finanche Nixon era stato trattato con più dignità quando si era imbarcato sull’elicottero per lasciare la Casa bianca. Il Presidente uscente è riuscito a convincere un manipolo di esaltati. Solo il Generale Pappalardo è riuscito a fare peggio.

Lo scandalo, quello vero, è che le imponenti forze di sicurezza di cui dispongono gli Usa abbiano consentito questa pagliacciata, testimoniando quanto la macchina repressiva funzioni bene quando si tratta di sparare alle spalle di manifestanti pacifici, ma resti poi connivente e compiacente se si tratta del Ku Klux Klan o dei suprematisti bianchi. C’è da sperare che nei prossimi anni le forze di sicurezza reclutino migliaia di Ron Stallworth, l’eroe narrato da Spike Lee in BlacKkKlansman.

Trump si è dimostrato per quello che è: un buffone inconcludente. Per nostra sfortuna, non sapeva governare. Per nostra fortuna, è stato incapace pure di organizzare un golpe. Agli storici rimarrà il compito di capire come sia potuto accadere che la gloriosa costituzione americana abbia selezionato tale presidente. Ma questo autogoal lascia una ferita profonda, così oggi chi crede nella democrazia si deve pure sorbire i sermoni degli Ayatollah.

Che ne sarà ora di The Donald? Si meriterebbe un soggiorno di studio dal suo sodale Kim Jong-un per leggere un classico, la Tecnica del colpo di stato del nostro Curzio Malaparte. Abbandonato anche dai più oltranzisti del GOP, si è giocato la possibilità di guidare l’opposizione alla amministrazione Biden. Rischia invece l’impeachment, e per ragioni un po’ più sostanziali delle marachelle di Bill Clinton con Monica Lewinsky. Se non fossero morte cinque persone, gli si poteva rimproverare solo di aver anticipato di quaranta giorni il carnevale.