All’inizio c’è un libro di memorie in cui il nonno di Miriam Selina Fiena, attrice della compagnia La Ballata dei Lenna, racconta dei suoi ventisette anni passati in Libia dove aveva scelto di vivere, si era sposato e aveva cresciuto i suoi figli fino al 1970, quando come molti altri italiani era stato obbligato a lasciare il Paese. È una storia famigliare, intima e dolorosa, ma è anche un frammento in un racconto collettivo, quello dell’Italia e del suo passato coloniale mai affrontato in profondità.

MIRIAM inizia la sua ricerca, vuole ritrovare le origini della sua famiglia a Tripoli, metterle in dialogo col presente: legge, studia, contatta numerose persone, docenti giornalisti, inizia a sua volta a scrivere un diario in cui raccoglie le sue scoperte e i suoi incontri, contatta le associazioni umanitarie, guarda film e materiali d’archivio convidendo il suo percorso con la regista del gruppo, Paola di Mitri.

A un certo punto – come scrive nelle note allo spettacolo – comincia a sentire la necessità di costruire un legame tra questa sua narrazione personale e la durezza dell’attualità, la guerra in Libia, le violenze contro i migranti rinchiusi nei centri di detenzione: «Volevo trovare una strada per conoscere la Libia che non esiste nel chiasso dei tg, quella da cui anche con un passaporto non è possibile partire, quella a cui l’Italia è legata da una storia attuale ma dimenticata». È allora che contatta Khalifa Abo Khraisse, regista, sceneggiatore – ha lavorato tra gli altri al film di Andrea Segre L’ordine delle cose – corrispondente dalla Libia per «Internazionale». Da questi molteplici incontri nasce Libya. Back Home, spettacolo a più voci – stasera e domani a RomaEuropa, Mattatoio, Teatro 2 – a cui si aggiunge un incontro (il 16, alle 18.30) col titolo «Cartoline da Tripoli», nel quale Khalifa presenterà dei suoi video girati in Libia, testimonianze sulla vita dei migranti, sulla violenza delle milizie, sui traffici illeciti. «Miriam mi ha contattato perché aveva letto i miei articoli, mi ha spiegato il suo progetto, mi ha raccontato di suo nonno che aveva lasciato la Libia dopo tanto tempo con sei figli, nel 1970, con suo padre che era appena un ragazzino, per non farci mai più ritorno. Come lui allora andarono via migliaia di italiani, la sua esperienza è un po’ quella dell’Italia» spiega Khalifa che ha trentasei anni, vive a Tripoli ma dallo scorso marzo la guerra ha bloccato a Roma.

AGGIUNGE: «Ho iniziato a fare ricerche, per Miriam era importante ricostruire i nomi dei luoghi, delle strade, sapere dove avevano abitato, cosa c’è ora… Pensava a questa storia con in mente il teatro che a me piace moltissimo ma non è il mio lavoro, il mio punto di partenza è piuttosto quello storico. Abbiamo continuato a scriverci, a scambiarci mail e piano piano le cose hanno preso forma».

L’investigazione personale diventa un doppio viaggio, quello di Miriam verso la Libia e quello di Khalifa verso l’Italia che illumina il rapporto complesso tra questi due paesi, politico, sociale, coloniale. «Mio nonno ha combattuto contro i fascisti, tornare a quegli anni mi ha permesso di approfondire argomenti sui quali l’informazione è molto limitata, in Italia come in Libia».

I VIDEO che saranno proiettati mostrano anche la situazione dei migranti. «Fino a qualche anno fa si poteva ancora avvicinarsi ai centri di detenzione, tutto dipende da come ci si muove. I giornalisti vanno di corsa, cercano lo scoop, io sono come un maratoneta mi prendo il tempo per avvicinare le persone». E oggi quale è la situazione in Libia? «I naufragi continuano, la gente muore in mare, anche i bambini, i migranti sono ancora detenuti in quei luoghi di violenza, che esistono da sempre, anche i libici vi sono rinchiusi e torturati ma verso i migranti gli abusi sono più atroci».