E’ già una di quelle sfide, almeno all’apparenza, che non prevedono pareggio. La posta in gioco ufficiale è la nomina di Paolo Savona all’Economia ed è già di per sé una scelta fondamentale per il carattere del governo che Giuseppe Conte si appresta a formare. Ma ormai in ballo c’è molto di più perché, per come si sono messe le cose ieri, se a cedere sarà il capo dello Stato si tratterà di una resa incondizionata e senza appello; se invece a piegarsi sarà il leader leghista dovrà muoversi d’ora in poi all’interno dei limiti tracciati dal Colle. Il no di Mattarella a Savona, infatti, non è motivato da alcuni aspetti della biografia dell’uomo, come quando Napolitano bloccò la nomina di Gratteri a ministro della Giustizia appellandosi al fatto che fosse un magistrato o quella di Lia Quartapelle agli Esteri perché troppo giovane e inesperta. Il veto qui è, forse per la prima volta nella storia della Repubblica, esplicitamente politico.

L’ULTIMO PONTE ALLE SPALLE il Quirinale e il Carroccio lo hanno bruciato ieri. Definitiva è una «comunicazione informale» durissima che parte dal Colle a metà giornata: «Il tema all’ordine del giorno non è quello di presunti veti ma, al contrario, dell’inammissibilità di diktat nei confronti del presidente del consiglio e del presidente della Repubblica nell’esercizio delle funzioni che la Costituzione attribuisce loro». Sono parole pesanti ma anche pesate e calibrate. Tracciano un confine: da una parte il capo dello Stato e il premier, ai quali spetta decidere sui ministri, dall’altra i due partiti di maggioranza che cercano di costringerli a fare quel che loro hanno già deciso. In questo modo Mattarella strattona Conte portandolo dalla propria parte e forse indica anche la sola via d’uscita possibile. Se infatti a bocciare Savona fosse il premier incaricato, facendo valere le proprie prerogative, trarrebbe fuori dall’imbarazzo il presidente della Repubblica.

MATTARELLA SI È DECISO a far filtrare la «comunicazione» dopo che M5S e Lega avevano ribadito per l’ennesima volta la candidatura dell’economista, nonostante il Quirinale avesse fatto sapere che non ci sarebbero problemi se al suo posto fosse indicato Giorgetti, stimato anche da Mario Draghi. A far montare ancor di più la tensione era poi arrivato un Salvini con la scimitarra sguainata: «L’Europa minaccia una manovra da 10 miliardi. Io intendo fare l’opposto. Savona è in grado di rimettere l’Italia al centro del dibattito in Europa. Mi chiedo se abbia senso il voto libero degli italiani».
Dopo l’affondo del Colle Salvini ha stemperato i toni: «La nostra è una proposta, non un’imposizione. Non capisco la motivazione del no a Savona». La forma è più urbana ma se corrisponde a una maggior malleabilità nella sostanza lo si vedrà nei prossimi due giorni. Dal quartier generale leghista, infatti, continua ad arrivare un messaggio drastico: «Savona o non se ne fa niente».

LA CASELLA dell’Economia non è l’unico rebus che Conte debba sbrogliare. C’è il ministero delle Infrastrutture, postazione strategica che ora il Carroccio reclama e dove vorrebbe dirottare proprio Giorgetti, inviando invece al sottosegretariato di palazzo Chigi Fontana. C’è la Farnesina, che per il Quirinale pesa quasi quanto l’Economia. Con un rivolgimento totale di posizioni ora la Lega insiste perché sia ministro degli Esteri il già inviso Massolo. La sterzata dipende dal fatto che per gli Esteri è spuntato, in alternativa a Massolo, Enzo Moavero Milanesi, come dire quanto di più opposto alla Lega in materia d’Europa si possa immaginare. Se la spunterà Massolo, comunque Moavero dovrebbe restare in pista, per la rassicurazione di Mattarella, come ministro delle Politiche comunitarie. C’è il contenzioso sul superministero destinato a Di Maio, quello dello Sviluppo-Lavoro, che la Lega vorrebbe lasciare scorporato occupando il Lavoro. Resta il nodo della Difesa.

MA QUESTE SONO TENSIONI nella norma, inevitabili al momento di formare un governo e superabili. La linea del fronte è solo via XX Settembre. Si vedrà tra oggi e domani se a risolvere la partita sarà Conte, se uno dei due contendenti accetterà la sconfitta o se salterà tutto all’ultimo secondo. A meno che non si tratti, come qualcuno sospetta, di una messa in scena allestita da Salvini per bruciare Savona facendo poi il sacrificio di accaparrarsi con Giorgetti l’Economia e magari, come consolazione per il doloroso cedimento, impadronirsi anche delle Infrastrutture.