La prima cosa che Mattarella ha detto in pubblico, uscendo dalla studio alla Vetrata, è la stessa che ha ricordato in privato ai suoi interlocutori durante tutte le consultazioni: «Il governo deve avere la fiducia delle due camere». Ha citato, il presidente, l’articolo 94 della Costituzione che fa giustizia di tutti gli auto proclami di vittoria, e l’articolo 92 che ricorda che è il presidente della Repubblica a nominare il presidente del Consiglio e, su proposta di questo, i ministri. Tutti i discorsi del genere «siamo la prima coalizione» o «abbiamo il 32%» al Quirinale sono considerati un parlar d’altro.

Non che il presidente non veda il successo di Lega e M5S, al contrario ha riconosciuto «un ampio aumento di consenso per due partiti»; siamo lontanissimi da Napolitano che cinque anni fa diceva di non aver sentito il «boom» dei grillini. Ciò non di meno, Mattarella ha evidenziato che alla camera e al senato «sono presenti tre schieramenti», sottolineando cosi che se il Pd si sottrae lo fa per libera scelta: in teoria potrebbe essere della partita. E comunque «nessun partito, né schieramento politico dispone da solo, dei voti necessari per formare un governo e sostenerlo». «Sostenere» è parola che il presidente della Repubblica usa tre volte nel suo breve discorso, in questo modo chiarendo che la maggioranza non dovrà dipendere da uno o due voti. La maggioranza più solida, nei due schemi proposti da Di Maio, sarebbe quella tra il Movimento 5 Stelle e tutta la destra.

Ma, ha detto il presidente, «nelle consultazioni di questi due giorni non è ancora emersa questa condizione». Ancora è un avverbio incoraggiante. Anche la decisione, ampiamente annunciata, di concedere del tempo per la riflessione prima di passare a un secondo giro di consultazioni (che dovrebbe essere ancora più rapido) può indicare che al Quirinale intravedono una possibile soluzione. Un ulteriore indizio di questo ottimismo si può cogliere nella disponibilità del governo Gentiloni di rinviare di due o tre settimane la definizione del Documento di economia e finanza. Mossa che avrebbe il placet della Commissione europea ma che ha senso solo se si immagina che tra due o tre settimane possa esserci qualcun altro a doversi occupare del Def.

Mattarella quindi aspetterà una settimana, potendosi prevedere che le nuove consultazioni si terranno tra mercoledì e giovedì. Ha chiarito che lo sosta gli è stata chiesta dai partiti, dunque si aspetta che porti qualche frutto. Si potrà ad esempio valutare l’esito dell’iniziativa di Di Maio, che però non ha alcun mandato né ufficiale né ufficioso del Colle (motivo per cui il Pd può rifiutare l’incontro). Il mandato «esplorativo» è una carta che il presidente della Repubblica si riserva di giocare eventualmente in seguito, ma sarebbe affidato a una personalità diversa dai leader di Lega e M5S, più istituzionale. Con queste posizioni in campo, però, quel mandato servirebbe soltanto a prendere altro tempo, obiettivo pure non disprezzabile per chi vuole togliere dal tavolo la possibilità di tornare al voto entro giugno. Al di là delle (dovute) dichiarazioni di non temere il voto, il voto a stretto giro piace poco sia al Colle che ai due partiti «vincitori». Sanno infatti benissimo che con la stessa legge elettorale il risultato sarebbe più o meno simile.

Nel caso la sosta non porti consiglio, non faccia maturare quella «possibilità che oggi non si registra», il capo dello stato potrà fare comunque la sua scelta, applicando proprio l’articolo 92 della Costituzione. La pausa di riflessione, ha avvertito, «servirà anche a me».