Tocca a Sergio Mattarella riempire la «pagina bianca» delle elezioni. L’aveva definita così prima del voto, sperando che fossero i partiti a scrivere il seguito. Invece deve essere proprio il capo dello stato dallo stile misurato e accorto a proporre una soluzione inedita e quasi spericolata della crisi politica post elettorale. Un governo di non eletti interamente selezionato al Quirinale che nasce senza avere i numeri per la fiducia. E poi nuove elezioni in tempi strettissimi, addirittura a metà luglio oppure a inizio autunno.

Ieri sera il presidente ha letto alle telecamere un discorso lungo, preparato prima dell’ultimo e inutile giro di consultazioni, che sancisce l’impossibilità di qualsiasi governo politico. La soluzione studiata da Mattarella è quella di «un governo neutrale». Non è l’unico aggettivo con il quale lo qualifica il presidente, sperando che i partiti «consentano attraverso il voto di fiducia che nasca un governo neutrale, di servizio». «Un governo di garanzia», aggiunge. L’identikit in questi casi suggerisce di guardare alle due istituzioni «neutrali» della Repubblica, la Banca d’Italia e la Corte costituzionale. Il profilo del governatore Visco sarebbe il più adatto, dal momento che gli unici obiettivi di questo governo sono di natura economica: contrattare il bilancio dell’Unione europea e presentare la legge di bilancio per il 2019. Anche i precedenti – Ciampi e Dini – lo suggerirebbero, ma la figura di Visco è stata logorata dagli attacchi grillini e renziani. Più probabile quindi che sia chiamato in causa un giudice, o un giudice emerito, o una giudice dalla Consulta.

Mattarella ha ripetuto il suo appello alla responsabilità dei partiti politici: «Continuo ad auspicare un governo con pienezza di funzioni». Ha spiegato che sono stati proprio i partiti – centrodestra e 5 stelle – a chiedergli altro tempo e un governo «neutrale» può aprire lo spazio alla maturazione di un governo politico. Consentire per esempio al centrodestra di trovare i cinquanta voti che adesso non ha alla camera, o dare modo a Salvini di sganciarsi da Berlusconi per abbracciare finalmente Di Maio. Il presidente conosce benissimo la contrarietà di Lega e 5 Stelle a un governo del genere, per questo accompagna la proposta con una promessa: al primo segnale di una maggioranza «questo governo si dimetterebbe con immediatezza per lasciare campo libero a un governo politico».

Nel tentativo di renderne meno impervio il debutto alle camere, Mattarella aggiunge altre due caratteristiche a questo governo «di garanzia». In ogni caso «dovrebbe concludere la sua attività a fine dicembre, approvata la manovra finanziaria, per andare subito al voto». E poi «chiederò ai suoi componenti l’impegno a non candidarsi alle elezioni». Entrambe le cose sono inedite, almeno in questa forma. Nel 1995 il governo Dini aveva annunciato le sue dimissioni al termine della sessione di bilancio, ma lo aveva fatto spontaneamente in parlamento (e si era già a ottobre) per conquistare la non belligeranza di Rifondazione. Nel 2011 Napolitano nominò Monti senatore a vita anche per tenerlo lontano dalle elezioni successive, e si arrabbiò moltissimo quando il professore l’anno seguente non solo lanciò il suo partito ma si candidò alla premiership. L’accordo in quel caso non riguardava i ministri ed era rimasto un affare privato – anche se Berlusconi lo fece sapere a tutti.

«L’ipotesi alternativa» alle dimissioni di questo nuovo esecutivo a dicembre, ha spiegato Mattarella, «sarebbe quella di indire nuove elezioni subito, appena possibile». In «piena estate», il che «renderebbe difficile l’esercizio del voto». E bisogna ricordare che due mesi fa l’affluenza, in calo, si è fermata al 73% e in tutte le regioni del sud e delle isole è rimasta sotto al 70%. Il voto in autunno, invece produrrebbe il rischio «che non vi sia il tempo per elaborare e approvare la nuova finanziaria». L’aumento dell’Iva previsto dalle clausole di salvaguardia e l’esercizio provvisorio sono i due spettri che il capo dello stato vuole allontanare.

Al punto che le elezioni a ottobre sembrano essere, nel discorso di Mattarella, persino più malviste di quelle a luglio. Che però potrebbero tenersi al più presto il 15 luglio. Per rispettare i 60 giorni di tempo minimo che devono passare dallo scioglimento, bisognerebbe che tutto – dall’incarico al premier, al giuramento, alla (mancata) fiducia in parlamento, al colloquio con i presidenti di camera e senato – andrebbe fatto in una settimana a partire da oggi. Tempi che adesso sono nelle mani in gran parte del presidente della Repubblica, che intanto ha escluso decreti per bruciare le tappe: «Va tenuto in conto il bisogno di tempi minimi per assicurare la possibilità di partecipazione». Un riferimento al voto all’estero che costringe persino a considerare l’ipotesi, davvero spericolata, di elezioni il 22 luglio.