L’incontro al Quirinale con il calendario dei lavori di camera e senato sul tavolo è diventato un classico nel rapporto tra capo dello Stato e presidente del Consiglio, in questa repubblica che incerta tra presidenzialismo e premierato ha smesso da tempo di essere parlamentare. E adesso che c’è una scadenza in più da far rientrare nei piani del governo, le annunciate dimissioni del presidente della Repubblica, ogni ritardo sulla tabella di marcia condivisa tra Quirinale e palazzo Chigi, nonchè annunciata al paese via dichiarazioni ufficiali e ricostruzioni ufficiose, deve essere recuperato. Così ieri Matteo Renzi e la ministra delle riforme Maria Elena Boschi sono stati ricevuti da Giorgio Napolitano.

Il programma è noto: il presidente della Repubblica avrebbe intenzione di annunciare le sue dimissioni ai cittadini nel corso del messaggio di capodanno, così da concludere il semestre di presidenza italiana del Consiglio dell’Unione europea (per chi se n’è accorto) e non cominciare con tutto il peso del mandato l’anno del suo novantesimo compleanno. Ma avendo sempre legato la sua permanenza alle riforme, Napolitano avrebbe gradito dimettersi potendo contare sull’approvazione almeno in seconda lettura (per quanto non definitiva) della legge elettorale al senato. Renzi si era impegnato, ancora due giorni fa giurava pubblicamente sul risultato. È successo però che l’Italicum ha mostrato tutti i suoi difetti di legge studiata su misura per le convenienze del capo in carica e sulla base degli ultimi sondaggi, ma passata per una mediazione con la minoranza del Pd che ne ha fatto un sistema monco. Il tracollo del contraente del Nazareno sta complicando tutto, ma il primo problema resta quello che l’Italicum senza la riforma costituzionale non regge e che dunque non c’è da accelerare, casomai da rinviare.

L’incontro al Quirinale è stato tutto dedicato a queste due riforme. Il capo dello stato ha registrato le perplessità dei costituzionalisti, tra i quali c’è anche chi vede l’Italicum difficilmente promulgabile se non al prezzo di legare le mani a questo o al prossimo capo dello stato in fatto di scioglimento delle camere. La nota diffusa dalla presidenza della Repubblica assicura che il percorso delle riforme terrà conto «di preoccupazioni delle diverse forze politiche, soprattutto per quanto riguarda il rapporto tra legislazione elettorale e riforme costituzionali». Il punto è che tutte le soluzioni immaginate per legare la legge elettorale monocamerale alla cancellazione del senato elettivo – prima fra tutte la proposta Calderoli di una clausola di salvaguardia che rimandi l’entrata in vigore dell’Italicum al giorno in cui la Costituzione sarà effettivamente modificata – sollevano più dubbi di quanti vorrebbero risolvere. Perché una clausola che rimanda a un evento incerto zoppica costituzionalmente e perché avendo la Consulta abbattuto il Porcellum apparirebbe illogico rinviare l’applicabilità di una legge elettorale così attesa e necessaria.

Dunque bisogna far marciare insieme le due riforme, come dicevano da tempo i critici dell’Italicum e come disceso dal Quirinale dice anche Renzi, per quanto non rinunciando a travestire le frenate da colpi di acceleratore: «Siamo a un passo dalla chiusura, tra dicembre e gennaio chiudiamo». Non più certamente a dicembre, dunque (l’aveva già ammesso il sottosegretario Pizzetti) ma a gennaio quando, secondo le intenzioni, la camera dovrebbe approvare la riforma costituzionale. Proprio per questo, infatti, la capigruppo di Montecitorio ha fissato per il 16 dicembre l’approdo in aula del disegno di legge costituzionale. Non perché si immagini di far discutere gli onorevoli del bicameralismo tra natale e capodanno, ma perché così nel mese successivo si potranno contingentare i tempi. Ma la modifica dalla Costituzione ha comunque davanti una strada lunga, che potrebbe anche passare per un referendum. L’Italicum dovrà avere la pazienza di attendere. E forse anche Napolitano, almeno qualche settimana in più.