Si può non amare un regista che a «tempo perso» suona sotto il nom de plume di Czar sia nei Realmbuilder, un combo heavy metal, che nei Charnel Valley, una band di black metal e scrive romanzi western e di fantascienza? Ovviamente la risposta è no. Considerato poi che fra i suoi sostenitori s’annidano personaggi del calibro di Walter Hill, Joe Lansdale e Larry Niven il tutto assume i contorni dell’ineluttabilità. Il primo film di Zahler ha lasciato un segno non indifferente. Bone Tomahawk, western interpretato da Kurt Russell, si presenta come un intreccio fra Chato’s Land, Cannibal Holocaust e Le colline hanno gli occhi. Uno di quei film «impossibili» nel quale tradizione e insurrezione grindhouse complottano senza badare a colpi bassi. Inutile dire che nei confronti di Brawl in Cell Block 99 le attese erano/sono altissime. E altrettanto inutile evidenziare, se non come anticipo di conclusione, che Zahler non delude. Sin dal titolo, il film si presenta come un omaggio al Don Siegel di Riot in Cell Block (Contratto per uccidere) ma omaggi e similitudini si fermano (più o meno…) lì.

Per il resto il film è un implacabile discesa nell’ultraviolenza più splatter dalla lunghezza da blockbuster supereroistico nel quale Vince Vaughn, calvo e con un crocefisso stile doom metal tatuato sul cranio, si trova a percorre l’autostrada per l’inferno a tutta velocità. La linearità del plot è esemplare. Bradley perde il lavoro e decide di lavorare per Gil, il suo amico spacciatore. Bradley è il migliore nel suo lavoro ma Gil si mette in affari con dei messicani e lui non può che accettare la decisione del capo. Le cose vanno male sin dalla prima consegna e Bradley finisce dietro le sbarre ma non denuncia Gil mentre la moglie incinta resta sola (la splendida Jennifer Carpenter di Dexter).

E sin qui siamo nel più classico plot noir-pulp. Zahler, però, rilancia. Fra braccia spezzate e torture degne di Sergio Garrone, intreccia un morality play dalla traiettoria precisissima e sanguinaria. Bradley è uno di quegli americani che tengono la bandiera sulla veranda (lui ne ha addirittura due…) e che pur stando dall’altra parte della legge, s’immagina che la vita, se l’affronti con un codice etico preciso, non possa farti troppi scherzi. E invece no.

Così, mentre Bradley sprofonda nelle viscere del sistema giudiziario statunitense, il tasso di violenza aumenta esponenzialmente. Il mondo non risponde nemmeno alle domande che gli sono poste direttamente (parafrasando Kafka) nell’universo concentrazionario di Zahler. Il romanzo di anti-formazione di Zahler – dove il politicamente corretto sembra non essere mai giunto – si rivela progressivamente una tragedia dai toni cupissimi nonostante un notevole tasso di (auto)ironia.

Nel cast oltre a Vaughn compaiono un sardonico Udo Kier e un quasi irriconoscibile Don Johnson, avido fumatore di sigari. Violentissimo, ma a tratti addirittura geniale, Zahler firma un prison movie dai toni horror e si concede persino il lusso di reclutare gli O’Jays, autentiche leggende del Philly Sound, per conferire al tutto il giusto sapore «blaxploitation». Colto e visceralmente brutale, Brawl In Cell Block 99 è un tipo di cinema che la produzione statunitense ha ormai dimenticato. Motivo ulteriore per tenersi stretti un autentico maverick come S. Craig Zahler.