I paesi intorno al bacino del Mediterraneo si trovano ad affrontare problemi idrici, come carenza d’acqua e inondazioni, che influiscono sulle disponibilità di cibo, provocano epidemie e sono una minaccia per la vita e le infrastrutture. Queste difficoltà sono dovute alla combinazione di pianificazioni e gestioni inadeguate e di scarsa capacità di prevedere rischi idrometeorologici e climatici.

Il Mediterraneo, infatti, ha caratteristiche uniche che derivano dalle condizioni geomorfologiche e climatiche, ma anche dagli sviluppi storici e sociali. Data la latitudine che ricopre, è un’area di transizione che subisce una variabilità climatica di tipo sia semi-equatoriale che tropicale.

Tutte queste influenze determinano una notevole instabilità a livelli diversi: dal piano temporale, che può andare da un’ora a una scala pluridecennale, a quello geologico, che va dal bacino di un fiume a quello dell’intero Mediterraneo. La complessa geografia della zona, infatti, gioca un ruolo cruciale nei cambiamenti di direzione dei flussi d’aria: un mare quasi chiuso, con un’elevata temperatura dell’acqua in superficie in estate e autunno, circondato da litorali altamente urbanizzati e da montagne dalle quali scaturiscono numerosi fiumi.

Il mar Mediterraneo è, per l’atmosfera, una fonte di umidità e calore, contribuendo alla formazione di sistemi metereologici di forte impatto come le grandi precipitazioni e le alluvioni, tempeste oppure ondate di calore e siccità.

Le forti precipitazioni e le inondazioni improvvise sono fra i più devastanti pericoli naturali quanto a tassi di mortalità. E si verificano di frequente sul versante nord del Mar Mediterraneo. Sebbene le alluvioni improvvise siano generalmente di entità limitata, il loro carattere imprevedibile e la loro violenza causa, in proporzione, un elevato numero di vittime.

Il continente africano e quello europeo mostrano i più alti tassi di mortalità legati ad alluvioni o inondazioni improvvise. In Francia, negli ultimi vent’anni, si sono registrati oltre centodecessi e diversi miliardi di euro di danni. E la mortalità in Europa può arrivare fino al 10% della popolazione soggetta ai pericoli idrometeorologici.

Le inondazioni si sono verificate, talvolta, anche nel sud del Mediterraneo: così avvenne nell’ottobre 2008 nella regione nordorientale del Marocco, nel novembre 1968 in Tunisia o quella del 10 novembre 2001 ad Algeri, un disastro naturale che fece 886 vittime.

Quanto al costo in vite umane, le venti città più vulnerabili – quelle in cui si prevede il maggiore incremento della media annua delle morti dovute ad alluvioni fra il 2005 e il 2050 – sono sparse in diverse parti del mondo: nel bacino mediterraneo, nel golfo del Messico e nell’Asia orientale.

Eventi di questo tipo colpiscono soprattutto le cose. Con i suoi 46mila chilometri di coste, più di 146 milioni di abitanti e altri 100 milioni di turisti estivi, il bacino del Mediterraneo è uno dei più affollati del mondo e una delle regioni più vulnerabile meteorologicamente. La gestione del rischio inondazione tramite misure strutturali è difficile e spesso insostenibile, in termini ecologici o economici. Ecco perché è necessario comprendere meglio le dinamiche sociali e naturali di queste catastrofi: lo scopo è migliorare le capacità di previsione e allertamento nelle società mediterranee più esposte, così da aumentare la loro resistenza a eventi tanto devastanti e frequenti.

Anche la siccità ha conseguenze sociali serissime, con la riduzione degli approvvigionamenti idrici, il calo di produttività nella vegetazione naturale o coltivata e la diminuzione di forniture energetiche dovuta alla scarsità d’acqua.

Infine, essendo il Mediterraneo in un’era di transizione, ha una sensibilità molto elevata ai cambiamenti climatici globali, a breve e lungo termine (decenni e millenni). Dati risalenti al paleolitico, sia continentali sia marini, mostrano che il clima e le condizioni del mare sono notevolmente mutate nel passato e, a volte, è accaduto assai velocemente. Per quanto riguarda i periodi più recenti, diversi autori hanno rilevato un aumento della temperatura media annua di circa 0.005°C yr 1, che in estate sale a 0.01°C yr 1 per gli anni 1976-2000, uno dei livelli più alti in tutto il globo, e nel contempo una diminuzione delle precipitazioni. In mare, tuttavia, gli intervalli temporali sono ancora troppo brevi per fornire un andamento statistico affidabile. Quanto alle previsioni possibili per il bacino mediterraneo in uno scenario antropogenico, l’area viene definita come uno dei due principali «punti caldi» del cambiamento climatico, con un incremento, anno dopo anno, della variabilità delle precipitazioni, in aggiunta a un forte riscaldamento ed essicamento fra il 2080 e il 2099, rispetto al periodo 1980-1999.

Il ciclo regionale dell’acqua è stato dunque intaccato e continuerà a subire le conseguenze di questi mutamenti decennali, oltre a quelli a lungo termine. In questo contesto, i rischi per le popolazioni del Mediterraneo potrebbero seriamente aggravarsi, non solo a causa di eventi scatenanti alluvioni e ondate di siccità che potrebbero farsi più frequenti, ma alla luce delle proiezioni demografiche del Mediterranean Action Plan, che prevedono un aumento di circa il 22,6% fino al 2025.

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