Per poter far parte della coalizione che sostiene Leoluca Orlando il Pd ha rinunciato al suo simbolo. Ne ha presentato uno nuovo dove al bianco, rosse e verde del logo dem e alla parola «democratici» si unisce il blu dei «popolari» per la presenza nel listone anche dei candidati di Angelino Alfano e dei centristi di Gianpiero D’Alia. Forza Italia invece nel suo tradizionale logo elettorale ha inserito la scritta «Palermo» pur di non rompere l’alleanza con i cuffariani di Pid-Cp che non avevano alcuna intenzione di abbandonare il candidato Fabrizio Ferrandelli, nonostante la riluttanza di Berlusconi a modificare il simbolo.

Siamo a Palermo, dove i partiti hanno abdicato in nome di un civismo mascherato, quello voluto da Leoluca Orlando, in corsa per la quinta volta nella sua quarantennale carriera politica, e di Fabrizio Ferrandelli, ex deputato regionale Pd, con un passato nell’Idv di Antonio Di Pietro, ora leader dei «coraggiosi» che raggruppano anche ex Pd. Alcuni sondaggi commissionati dai dem e da Fi danno Orlando e Ferrandelli testa a testa intorno al 30-35%, mentre Ugo Forello, il candidato M5S, sarebbe distaccato di una decina di punti, navigando intorno al 18-20%. Un distacco che avrebbe indotto Forello, osteggiato in casa dai «monaci» che fanno capo a Riccardo Nuti in rotta con la maggioranza dopo il caso firme false, a infrangere il totem dei pasdaran di Grillo: la sua faccia appare in decine di manifesti affissi nei quartieri di Palermo con l’obiettivo di intercettare il voto degli elettori non internauti. Insomma, non solo web.

A Palermo si voterà l’11 giugno come nel resto del Paese, anche se manca ancora l’ufficialità della Regione che ha competenza in materia elettorale. Ma si adeguerà alla data stabilita dal Viminale.
Ai tre big in campo si aggiungono alcuni outsider: gli indipendenti Ismaele La Vardera che potrebbe avere il sostegno di Noi con Salvini, Tony Troja, Ciro Lomonte e Tanino Cammarata. In standby Nadia Spallitta, consigliera uscente del Pd. Ma la scelta dei dem di rinunciare al simbolo apre una polemica interna nel pieno della convenzione dei circoli in vista del congresso nazionale. Per Andrea Orlando la scelta del Pd a Palermo, a guida renziana, «è il segno che un partito prostrato non sa svolgere il ruolo sul territorio». «Se vincerò il congresso, garantisco che almeno nei capoluoghi di provincia ci sarà in tutta Italia il simbolo Pd – avverte il ministro della giustizia – Palermo è il segno di una crisi politica forte e chi non la vede non fa i conti con la realtà». Di «deriva pericolosa, per cui ci si preoccupa più della gestione del potere che del profilo che dovrebbe avere un partito come il Pd, cardine di un centrosinistra allargato», parlano i senatori dem Camilla Fabbri, Valeria Cardinali, Rosaria Capacchione, Salvatore Tomaselli, Stefano Vaccari, Daniele Borioli. «Non è inventandosi alleanze trasversali con forze estranee al centrosinistra che si risponde alla crisi di partecipazione e alle difficoltà che da tempo vive la nostra comunità», incalzano.

Per Francesco Laforgia, capogruppo di Mdp a Montecitorio, «la Sicilia ha sempre, politicamente, anticipato i fenomeni nazionali e anche questa volta Palermo battezza il Pdr e sancisce, di fatto, la fine del Pd». Mentre per Arturo Scotto (Mdp) a Palermo «il centrosinistra si fa con Faraone e Alfano, passando per Lombardo. Si chiamano Democratici e popolari. Una lista, un ossimoro. Manca solo Cuffaro nell’album della famiglia allargata. Quando arriverà uccideranno il vitello grasso», ironizza.

Anche dall’altra parte il clima non è dei più sereni. Fino a 48 ore fa, Forza Italia era pronta a mollare Ferrandelli, ieri la svolta: ok all’accordo. L’ex Pd ha accettato il simbolo di Fi in suo sostegno, ottenendo però l’aggiunta della scritta «Palermo». Decisiva è stata la mediazione del leader di Cp-Pid Saverio Romano che ha convinto Gianfranco Miccichè, commissario azzurro nell’isola, a evitare la rottura. Ma il malumore tra alcuni dirigenti azzurri rimane, soprattutto tra chi aveva già fatto stampare i manifesti elettorali, facendoli affiggere in giro. Dovrà rimettere mano al portafogli.