All’istituto Spallanzani di Roma sono in isolamento 35 pazienti. Si tratta della coppia di turisti cinesi contagiati dal nuovo coronavirus, più 13 pazienti cinesi in attesa degli esiti dei test e un’altra ventina di persone in osservazione per essere entrate in contatto con la coppia di turisti. I due sono in condizioni ritenute «discrete» (lei) e «stazionarie» (lui). Altre 13 persone sono state dimesse dopo i risultati negativi dei test. Tra loro anche l’operaio rumeno che aveva lavorato all’Hotel Palatino prima di presentare sintomi compatibili con il coronavirus e una donna di nazionalità cinese trasportata allo Spallanzani da Frosinone.

Per prevenire psicosi nelle scuole, il ministero dell’Istruzione ha diramato ieri una circolare con le istruzioni da seguire. In accordo con le linee-guida dell’Oms, la circolare non raccomanda particolari misure nei confronti degli studenti rientrati da viaggi in Cina nelle ultime due settimane, se non il monitoraggio di eventuali sintomi respiratori e l’ovvia adozione di corrette pratiche igieniche. D’altronde, i casi registrati fuori dalla Cina come quelli italiani rappresentano una trascurabile minoranza, pari a circa 140 infezioni. Nella sola Cina sono dodicimila, ovvero cento volte di più, con almeno 259 vittime (45 più di ieri). Aumenta anche il numero di persone guarite, salito ora a 270.

L’autorevole rivista The Lancet ha pubblicato ieri uno studio degli epidemiologi dell’università di Hong Kong secondo cui il reale numero di persone infette a Wuhan è più probabilmente pari a 75 mila persone. Secondo i ricercatori, altre metropoli cinesi come Pechino, Shanghai, Guangzhou, Chongqing e Shenzhen stanno probabilmente ospitando nuovi focolai che con una o due settimane di ritardo ripercorreranno l’evoluzione dell’epidemia di Wuhan. Gabriel Leung, uno degli autori, precisa: «non tutte le persone infette richiederanno cure mediche. Nel periodo di espansione di un’epidemia, in cui la capacità del sistema sanitario è messo a dura prova il numero di persone infette potrebbe essere sottostimato». La discrepanza tra dati reali e proiezioni ha anche altre spiegazioni, secondo Leung, come «il periodo di incubazione, il ritardo con cui ci si rivolge ai medici, il tempo necessario per i test».

Lo studio è destinato a gettare nuova benzina sul fuoco dei rapporti tra Hong Kong e governo centrale, già logori dopo le proteste dei mesi scorsi. Il sindacato dei lavoratori ospedalieri di Hong Kong ha proclamato uno sciopero per lunedì 3 contro le misure anti-coronavirus adottate dalla governatrice Carrie Lam e ritenute troppo blande. Il sindacato chiede che vengano tagliati tutti i collegamenti tra Hong Kong e il resto della Cina.

Non tutte le ricerche in circolazione però hanno la stessa autorevolezza. Ieri, ad esempio, una ricerca pubblicata sul sito biorxiv.org (un archivio su cui i biologi diffondono le loro ricerche prima della pubblicazione sulle riviste, usatissimo da chi si occupa di coronavirus) ha rinvenuto «strane somiglianze» tra il nuovo coronavirus e quello dell’Hiv, giudicate dagli autori «difficilmente fortuite».

Apriti cielo: l’articolo si è rapidamente trasformato, soprattutto sui social media, nella prova scientifica di una delle teorie del complotto più diffuse, cioè l’origine artificiale come arma batteriologica del coronavirus. Fortunatamente, molti ricercatori si sono tempestivamente attivati per «smontare» lo studio. Ma l’episodio dimostra come la condivisione di dati e ricerche in tempo reale, preziosissima per contenere epidemie come quella del coronavirus, richieda uno sforzo supplementare di responsabilità e partecipazione da parte della comunità scientifica.