I carabinieri di Bologna hanno avviato un’indagine interna per capire cosa sia successo di preciso nel pomeriggio di martedì 21 gennaio, quando il leader della Lega Matteo Salvini si è fatto vedere nel quartiere Pilastro e ha importunato al citofono una famiglia di origine tunisina, chiedendo se lì abitasse uno spacciatore. Il video dell’impresa è già stato rimosso da Facebook perché viola i regolamenti del social network (si tratta di violazione della privacy, è stato spiegato), ma l’Arma vuole capire soprattutto se nell’organizzazione della faccenda c’entri o meno un militare.

IL SOSPETTO NASCE dalle dichiarazioni della signora Anna Rita Biagini, la donna che ha indicato a Salvini l’appartamento e lanciato le accuse di spaccio. A un certo punto del video, ancora disponibile su diversi giornali online, Biagini dice di aver segnalato il caso a un suo amico maresciallo, il quale poi l’avrebbe messa in contatto con lo staff della Lega che ha colto l’occasione per una delle tante sparate della campagna elettorale emiliana.

Il maresciallo, a quanto risulta, non è in servizio dalla fine del 2019: una sentenza del tribunale del Riesame l’ha sospeso insieme a un suo collega perché accusati di stalking verso un avvocato e depistaggio. La vicenda, così come ricostruita dal giudice, sembra quasi la trama di un film comico: fino al marzo dell’anno scorso, il maresciallo e l’altro carabiniere avrebbero messo in atto una persecuzione in piena regola nei confronti di questo avvocato, con il quale erano in lite per il mancato pagamento di alcune parcelle. La persecuzione si concretizzava facendogli recapitare a casa pizze non richieste in modo da portarlo al litigio con i fattorini per il pagamento, l’iscrizione ad agenzie matrimoniali che poi lo chiamavano al telefono di casa per fissare incontri galanti, citofonate nel cuore della notte. Agli atti, poi, risulta anche un tentativo di depistaggio: quando l’avvocato denunciò i fatti, i due carabinieri avrebbero lavorato per sviare i sospetti e non farsi scoprire.

LA POSIZIONE del maresciallo sulla citofonata del Pilastro, comunque, è sfumata: in fondo lui non era in servizio durante il fattaccio e per questo potrebbe evitare l’accusa di violazione dell’imparzialità di un militare. Fatta salva la libertà d’espressione, infatti, un carabiniere non può in alcun modo sostenere una forza politica a meno che non sia autorizzato, come nel caso del vicecomandate Raffaele Fedocci, che si è candidato con Fratelli d’Italia. Di contro, è possibile che comunque si sia identificato alla signora Biagini come carabiniere e a questo titolo le abbia offerto l’aiuto di Salvini.
«Mi hanno chiesto il contatto di una persona che conosce le dinamiche del quartiere e ho pensato a lei», le avrebbe proposto il maresciallo, secondo la versione che la stessa donna ha fornito ai carabinieri quando, il giorno dopo i fatti del Pilastro, è andata a denunciare un danneggiamento subito dall’automobile del suo compagno. È così che, messo a verbale il tutto, i militari hanno informato della cosa i propri superiori.
Sulla vicenda della citofonata ha annunciato un’interrogazione alla ministra dell’Interno Lamorgese il dem Andrea De Maria, perché «Salvini ha compiuto un atto evidentemente molto discutibile alla presenza di numerosi operatori delle forze dell’ordine».

LA SETTIMANA SCORSA, al Pilastro, era emersa la storia di una ragazza che aveva denunciato di essere stata aggredita e derubata. Gli investigatori, però, hanno scoperto che stava mentendo e che il finto aggressore era un suo amico. E nel suo cellulare sono è stato trovato un video in cui i due mettevano a punto una rapina. Salvini ha deciso di inseguire questa storia e quindi di recarsi al Pilastro per fare campagna elettorale sul degrado, vero o presunto, di una zona periferica di Bologna. Non gli sono andate bene né le elezioni né lo spot elettorale. Piange il citofono.