La definizione di denaro come «sterco del diavolo», attribuita generalmente a Paolo di Tarso, non sarà scientifica come quella marxiana di «equivalente universale», ma ha senza dubbio il merito di far capire senza troppi giri di parole come i soldi vadano d’accordo con la sporcizia. In particolare con i rifiuti.
La punta dell’iceberg emersa finora dall’inchiesta «Mondo di mezzo» mostra come l’intricata rete di funzionari, burocrati e imprenditori, tessuta al fine di aggiudicarsi alcuni importanti appalti pubblici della Capitale, sia particolarmente attiva in quest’ambito, al punto da spingere il Prefetto di Roma a nominare – su proposta del presidente dell’Anac, Raffaele Cantone – un amministratore straordinario per l’esecuzione di due appalti aventi per oggetto i «servizi di raccolta, trasporto e conferimento presso l’impianto di compostaggio di rifiuti organici» e la raccolta differenziata porta a porta di multi materiale e degli imballaggi prodotti dalle mense comunali e dalle attività di ristoro. Entrambi assegnati per la maggior parte dei lotti al Consorzio nazionale servizi (Cns), una grande cooperativa di secondo livello con sede a Bologna che, una volta aggiudicato il servizio, lo subappalta alle sue associate, tra cui la 29 giugno di Salvatore Buzzi; insieme a Carminati il presunto cardine del sistema Mafia Capitale.

L’assegnazione della raccolta dei rifiuti al Cns di Bologna sarebbe il risultato del rapporto privilegiato di Buzzi con Giovanni Fiscon, direttore generale di Ama (Azienda municipale ambiente). «Ente in cui – si legge nell’ordinanza di sospensione degli appalti – il fenomeno corruttivo ha raggiunto la massima espressione inquinando tutte le gare». Il legame tra i due è definito dal Prefetto come «funzionale all’assegnazione, con modalità illecite, degli appalti gestiti dalla municipalizzata», con Buzzi nel ruolo di «procacciatore d’affari per conto del Cns – di cui era anche membro del Consiglio di sorveglianza – cosciente del fatto che l’aggiudicazione al Consorzio si sarebbe tradotta in un affidamento alle proprie cooperative».

Buzzi non è però il solo a beneficiare con una certa frequenza di commesse dal Cns. Il Consorzio nazionale servizi è infatti assegnatario di numerosi appalti per la gestione dei rifiuti in varie parti della Penisola, molto spesso proprio in nome e per conto di una delle cooperative che gestiscono la differenziata di Roma insieme alla 29 Giugno: Cosp Tecnoservice. Azienda risultata nel 2° quadrimestre 2009 la quarta della Capitale per numero di appalti pubblici aggiudicati, attiva nel settore delle pulizie, nella logistica industriale e nello smaltimento dei rifiuti.

Esclusa dall’inchiesta «Mondo di Mezzo» pur essendo legata a uno degli appalti “incriminati” e tirata in ballo in alcune dichiarazioni rese da Buzzi ai Pm, Cosp è in affari con la 29 Giugno dal 2000, quando insieme costituiscono il Consorzio raccolta differenziata Roma s.c.a.r.l. (di cui Buzzi è presidente del Cda e consigliere), tramite il quale l’anno successivo si aggiudicano il servizio di «raccolta differenziata porta a porta e recupero della frazione multi materiale dei rifiuti nel circuito della ristorazione».

L’appalto, anche in questo caso, viene vinto dal Cns – in partnership con la I.P.I., società poi commissariata per la mala gestione dei rifiuti nel Catanese – che poi subappalta il tutto a 29 Giugno e Cosp Tecnoservice: la stessa procedura adottata negli appalti di Mafia Capitale, ma molti anni prima.
Dopo essersi aggiudicate negli anni anche la raccolta della frazione organica nel comune di Roma e quella di vetro, plastica e metalli, nel 2012 la 29 Giugno rileva da Cosp tutte le attività legate alla raccolta differenziata del rifiuto organico e multi materiale di Roma, in modo da permetterle – si legge nella relazione di bilancio – di «concentrarsi sul nuovo cantiere di Viterbo». Dove il copione non cambia.

Nel capoluogo della Tuscia il servizio di igiene urbana se lo aggiudicano l’onnipresente Cns, che anche qui opera per conto di Cosp Tecnoservice, e la Gesenu del magnate dei rifiuti romani Manlio Cerroni (coinvolto nel 2014 in un’inchiesta per traffico illecito di rifiuti nel Lazio). Cosp e Gesenu costituiscono quindi la Viterbo Ambiente, società che nel giugno 2015 finisce al centro dell’inchiesta coordinata dal Noe dei Carabinieri «Vento di Maestrale» per truffa e frode in pubblica fornitura. Il Comune, secondo l’accusa, avrebbe versato al gestore soldi in cambio di servizi non erogati per una cifra che ammonterebbe, nel solo 2014, a circa 1 milione 400 mila euro.

I guai giudiziari, per il tandem Cns- Cosp Tecnoservice, non sono una novità. Già nel 2005, la gestione dei rifiuti in uno dei quattro ambiti territoriali ottimali della provincia di Messina è assegnata a un raggruppamento di imprese capeggiate anche qui dal Cns di Bologna: Nebrodi Ambiente. Soggetto il cui socio di maggioranza è Cosp Tecnoservice, che però non figura tra quelli che vincono la gara. Un caso piuttosto singolare quello di un «appalto che viene vinto – scrive il Comitato regionale di Legambiente – valutando i requisiti tecnici di un gruppo di società, mentre il servizio viene poi affidato a un raggruppamento costituito anche da altri soggetti». Ma tant’è.

La Cgil di Messina, rispetto a Nebrodi Ambiente, denuncia l’aumento dei costi del servizio, in alcuni casi raddoppiati, il mancato raggiungimento degli obiettivi di legge sulla raccolta differenziata e il forte ritardo con cui sono pagati gli stipendi ai lavoratori. Problemi a cui non si fa in tempo a trovare una soluzione: arriva il rinvio a giudizio per traffico illecito di rifiuti di tutti i vertici della società, compresi il presidente del Cns, Alberto Ferri, e l’ad in quota Cosp Tecnoservice, Sergio Filippi.

La controversa amministrazione dei rifiuti Cosp-Cns non finisce sempre in sede giudiziaria, ma ciò non vuol dire che le cose funzionino. A Vibo Valentia, dove sempre il Cns si aggiudica Il servizio di raccolta integrata dei rifiuti per poi subappaltarlo a Cosp, i risultati sono talmente insoddisfacenti che il Comune decide di decurtare l’importo dovuto per «mancato raggiungimento degli obiettivi di raccolta differenziata», ferma all’11,65% il primo anno e scesa fino all’imbarazzante 4,5% l’anno successivo (L’Ue prevede un minimo del 65%).

Quello costruito sulla monnezza della Capitale sembra costituire una sorta di «modello Roma», replicabile su scala nazionale: pochi soggetti protagonisti, affari enormi e uno schema perfetto per aggiudicarsi la gestione dei rifiuti un po’ ovunque.