Dopo gli ultimi grandi autori del cinema tedesco come Herzog, Wenders, Fassbinder, a metà degli anni Novanta si iniziò a parlare di una nouvelle vague berlinese. Alcuni ex studenti della DFFB (Deutsche Film Fernsehenakademie Berlin) sembravano far parte di un movimento atipico, senza dogmi o manifesti e con una idea di cinema più o meno comune. Christian Petzold (“La scelta di Barbara” e “La donna dello scrittore-Transit”), Thomas Arslan (“Gold”, “Bright Nights”), Angela Schanelec (“Marseille”) fino ad arrivare alla Maren Ade di “Toni Erdmann” hanno fatto parte della cosiddetta “Berliner Schule”. E oggi Il cinema tedesco ha o è un nuovo movimento? L’Oscar del 2007 a “Le vite degli altri” è solo un ricordo? Thomas Stuber ha diretto alcuni episodi di “Tatort” e presentato alla Berlinale nel 2018 “In den Gängen” (uscito in Italia come “Un valzer tra gli scaffali”), una storia di solitudini e sentimenti espressi a fatica tra i reparti di un supermercato nella periferia della fu Germania Est. Secondo Stuber l’epoca dei movimenti culturali è tramontata, non solo nel cinema, restano delle correnti, come il gruppo di autori del “German Mumblecore” (Jakob Lass, Tom Lass, Timo Jacobs e altri ) ma per il regista di Lipsia ogni autore segue la propria strada che, nella migliore delle ipotesi, conduce a buoni film. Anche per Karin Becker, documentarista e sceneggiatrice bavarese non c’è all’orizzonte nessun movimento definito, nonostante una certa dinamicità e osmosi tra la finzione e il realismo. Il suo ultimo lavoro come regista “Die Frist” (“La scadenza”) è stato presentato al DOK di Lipsia l’ autunno scorso e trasmesso dalla ZDF: tre personaggi si apprestano a vivere la loro “25esima ora” prima di varcare la soglia del carcere. Ma Stuber e la Becker sono due autori e, in quanto tali, non interessati alle dinamiche dei movimenti; per un artista la questione non è così necessaria e urgente. Per un critico la faccenda è più articolata. Giovanni Spagnoletti è professore di Storia e Critica del Cinema all’ Università Tor Vergata di Roma e collaboratore di molte testate (oltre che storico collaboratore del manifesto). Anche per lui oggi è difficile parlare di un cinema tedesco come movimento.

“Una piccola spiegazione ce l’ho. Ed era una boutade che faceva Jean-Luc Godard dicendo che quello che succede nella storia del cinema è quando tre o quattro persone si incontrano e discutono tra di loro. I grandi momenti di unità e di svolta nelle cinematografie nazionali europee sono avvenute quando c’è stato il neorealismo, il nuovo cinema tedesco, c’è stato il cinema inglese, tutto ciò è stato preparato da gruppi di persone che hanno lavorato insieme, hanno fatto delle riviste. E hanno sviluppato uno stile e poi dopo questo momento ognuno ha intrapreso una carriera diversa”.

In effetti il cinema tedesco di oggi più rappresentativo è composto da autori che hanno più di cinquant’anniMa la nostra cinematografia può ritenersi diversa?

In Italia secondo me la situazione non è florida ma è un po’ migliore perché se non altro ci sono delle scuole regionali. C’è il gruppo dei napoletani (Martone, Sorrentino, Capuano, De Lillo, De Angelis, N.d.A) che fanno sempre un cinema abbastanza interessante. E lì ci sono anche dei registi giovani; si deve anche partire da realtà importanti: puoi raccontare l’immigrazione, raccontare il disagio o l’estremismo politico o la situazione familiare con le donne però se non lo fai con un certo stile partendo dalle situazioni anche culturalmente interessanti tutto ciò diventa televisione”.

Cosa sapeva raccontare il cinema tedesco?

Il cinema tedesco del primo millennio è stato importante proprio perché ha portato avanti questa tradizione che è quella in cui i tedeschi sono molto forti. Raccontare la storia del proprio paese e riflettere sulla storia del proprio paese. Questo secondo me oggi si fa molto di meno che non dieci anni fa.”

Herzog, Wenders, Fassbinder, sono autori molti diversi e ognuno ha seguito il proprio percorso artistico.

Però erano in contatto, facevano delle battaglie comuni. Ognuno sapeva quello che faceva l’altro Quando era necessario prendere delle posizioni politiche, come è stato fatto nei confronti del terrorismo, l’hanno fatto. Queste sono cose importanti, oggi se tu dovessi radunare le persone non so chi raduneresti, mancano delle grosse personalità. Ci manca anche qualcuno che consideri il cinema non solo come un fatto audiovisivo ma come anche un fatto culturale che dialoghi con le altre arti”.

Ci accorgeremo di un prossimo movimento?

Quando accadrà sicuramente ne parleranno tutti perché viviamo nell’epoca dei social, per riconoscere il nuovo cinema tedesco ci sono voluti dieci anni. I film di Fassbinder non piacevano ed erano più acclamati all’estero che non in Germania. Quindi vedrai che se c’è qualche cosa che diventa un caso in Germania o all’estero sarà sicuramente con una velocità maggiore ma molto maggiore di quello che accadeva solo dieci o vent’anni fa”.