Negli sms «collettivi» che Alessandro Rossetto manda questi giorni agli amici, ieri c’era scritto: «Ancora due giorni (solo oggi per chi legge, ndr) per Piccola patria al Greenwich di Roma e poi chissà». In tanti hanno fatto tam tam sui social network per sostenere questo film, un bell’esempio di cinema indipendente produttivamente e libero nello sguardo, che oggi è il migliore prodotto in Italia.

Quello che arriva nei festival internazionali – le scelte del prossimo festival di Cannes insegnano – e che è amato dai programmatori intelligenti, dalla critica e dai pubblici internazionali felicemente sopresi da questo prodotto italiano fuoriclasse, di sensibilità contemporanea e ricerca, fuori dai canoni «vintage» della sua memoria – neorealismo o fellinismo – che lo hanno reso grande nel mondo.
E però questo cinema in Italia non si vede o quasi. E a poco valgono i festival – se non ci fossero magari manco ci arriverebbe in sala. Piccola patria – programmato a Roma solo alle 16.00, orario non proprio accessibile a tutti, nel resto d’Italia non so – è stato alla Mostra di Venezia, Tir se non ci fosse stata l’alternativa del Kino nella capitale nemmeno ci sarebbe arrivato, pur avendo trionfato al suo festival col Marc’Aurelio d’oro. E non è andata meglio – nononostante la distribuzione dell’Istituto Luce da cui ci si aspetterebbe maggiore incisività nei circuiti cinema italiani – per il primo film di Alice Rohrwacher Corpo celeste, per Le quattro volte di Frammartino o per L’intervallo di Leonardo Di Costanzo, tutti film magnifici.

Cosa c’è che non va dunque? É solo il pubblico da noi a essere «brutto e cattivo», mutato antropoligicamente da decenni di cattiva politica culturale? O c’è anche una causa strutturale – comunque sempre politica culturale è – che concerne il sistema di distribuzione nostrano? Mesi fa Gianluca Arcopinto parlando della distribuzione della Mia classe di Daniele Gaglianone, denunciava le modalità di controllo di «Circuito cinema» che aveva impedito alle sale sotto la sua egida di programmarlo – cosa che lo ha spinto ad appoggiarsi alle sale indipendenti.
Come che sia qualcosa nella nostra distribuzione non funziona, e appunto il caso di Piccola patria, o di Tir lo conferma. E diventa allora inutile parlare del cinema italiano, o del cinema in genere, magnificando i trionfi nazionali dell’Oscar o lamentando l’abbassamento del numero di spettatori, se non si riparte da qui. Tenendo presente i tempi presenti e le abtiudini diffuse impongono anche l’esigenza di reiventare i meccanismi di sostegno ai film. Seriamente, senza false retoriche.