Il cinema è come sporcato da un peccato originale dal quale va redento se vuole essere vera arte. E il cineasta è come un prete, il cui compito è di redimere le anime dalla colpa adamitica… Non si tradisce né si caricatura troppo il pensiero di Andrej Tarkovskij se gli si attribuisce un’idea di questo genere. E, per quanto estremista possa sembrare, la sua posizione – tradotta in termini più laici – è lungi dall’essere isolata. Ma qual è questo «peccato originale» da cui il cinema dovrebbe emanciparsi?

IL CINEMA non è nato nelle sale cinematografiche. E neanche nei teatri, per quanto le prime sale fossero per lo più dei teatri, più o meno nobili, trasformati per accogliere il cinematografo. Per un periodo abbastanza lungo, i luoghi in cui si potevano osservare le prime immagini in movimento erano le fiere, e gli spettacoli avvenivano tra un tendone e un carrozzone. Il cinema, per almeno un decennio, è stato non già un’arte nel senso nobile e spirituale che gli attribuisce Tarkovski ma una semplice «attrazione». Questa sua origine popolare, che per alcuni appunto è una colpa e per altri invece un punto d’onore, ha lasciato una traccia profonda e non solo nel cinema americano o nel cinema commerciale. L’idea del cinema come «attrazione» o meglio come montaggio d’attrazioni è centrale anche per capire il più intellettuale dei cineasti sovietici, Sergej Ejzenstejn. Ed è proprio contro la concezione di quest’ultimo che Tarkovskij crede, mezzo secolo più tardi, di doversi confrontare, per affrancare il cinema da ogni utilitarismo ed elevarlo al rango di pura arte.
Ma torniamo indietro, al finire del secolo. Dal punto di vista tecnico, l’invenzione del cinema così come lo conosciamo è attribuita ai fratelli Louis e Auguste Lumière i quali, nel marzo del 1895, presentano il loro apparecchio: il «cinematografo». Ma la paternità dell’invenzione del cinema non è loro attribuita per il fatto di aver inventato un congegno, ché non era né il primo, né il più avanzato modo di riproduzione di immagini in movimento dell’epoca. Il loro principale concorrente, l’inventore americano Alva Edison, ha già messo in commercio due apparecchi: il «Kinetografo» e il «Kinetoscopio», il primo per la ripresa e il secondo per la riproduzione.

LA SOLUZIONE messa a punto dai Lumière è più semplice di quella di Edison, perché il loro apparecchio è reversibile: è infatti capace al tempo stesso di impressionare la pellicola e di riprodurla (su uno schermo). Questa semplicità d’uso è una delle chiavi del successo del cinematografo Lumière. Il paradosso è che in seguito l’evoluzione tecnica imboccherà piuttosto la strada indicata da Edison. Non solo nel cinema professionistico, ma anche nel cinema amatoriale, si useranno sempre due apparecchi distinti, la cinepresa e il proiettore, almeno fino all’epoca delle videocamere analogiche (ricordate lo stupore di Doc Brown in Ritorno al futuro, quando Marty McFly collega al suo televisore anni cinquanta una sony Vhs che ha portato con se dagli anni ottanta?).

L’invenzione di Lumière s’impone però su un punto che sarà effettivamente decisivo per il futuro del cinema. Il «cinematografo» proietta l’immagine su uno schermo, permettendo (e al tempo stesso inducendo) la visione collettiva. Mentre il Kinetoscopio Edison è una sorta di grande scatola, sulla quale lo spettatore si china per osservare le immagini attraverso un visore. Il vantaggio del Kinetoscopio è che, fin dal 1895, l’apparecchio (se dotato del «Kinetophono») permette di riprodurre una colonna sonora sincronizzata alle immagini. Il problema è che, all’epoca, il suono non può essere amplificato. È per questo che il Kinetoscopio rinuncia alla visione di gruppo.

È UNA SCELTA tecnica e commerciale, ma che si rivela anche ideologica. Il Kinetoscopio Edison appartiene all’immaginario della fiera. È una scatola magica nella quale si inserisce una moneta per avere qualche secondo di puro entertaiment. Non c’è bisogno di sedersi in una sala oscura. Come un biliardino o un videogame da sala giochi, il Kinetografo può essere posizionato ovunque. Il cinematografo Lumière, proiettando su uno schermo, illumina la strada ad un altro immaginario. La struttura stessa della macchina da presa che i due francesi inventano porta dritta a teatro e fa del cinema l’erede dell’arte drammatica.
La strada dove sorge la fabbrica dei Lumière, a Lione, viene ribattezzata «rue du premier film» (oggi vi si trova l’Istituto che porta il nome dei due inventori). Ma il famoso La sortie de l’usine Lumière à Lyon non è il primo film in assoluto. I Lumière non inventano il «film» (la pellicola, è introdotta da Eastman nel 1889) ma la sua proiezione pubblica e collettiva. Per questo non si sbaglia se si considera che quello che chiamiamo cinema non è tanto il film ma il suo specifico modo di riproduzione. La prima proiezione pubblica della storia è gratuita, avviene il 22 marzo 1895 davanti ad un pubblico ristretto nel quartiere di Saint Germain a Parigi. La prima proiezione commerciale ha luogo nel dicembre dello stesso anno, sempre a Parigi nel Salon indien del Grand Café, 14 boulevard des Capucines. Lo spettacolo costa un franco, in programma ci sono dieci film, tutti dei Lumière. Gli spettatori paganti quel giorno sono solo 33. Di lì a poco saranno migliaia ad accalcarsi davanti all’ingresso nella speranza di entrare, tanto che la polizia dovrà intervenire per disperdere la folla.

COME SONO queste sale in cui il primo pubblico accorre sul finire del secolo? Somigliano solo in parte a quelle a cui siamo abituati. Le proiezioni durano circa una mezz’ora. Come per la ripresa, l’operatore proietta girando la manovella a mano. Non c’è la cabina. La proiezione avviene dietro lo schermo che, dovendo essere il più trasparente possibile, è costantemente umidificato con una mistura d’acqua e di glicerina. La luce è un problema già in fase di ripresa (non è un caso se gli studios sono nati nell’assolata California e non nella piovosa New York). E lo è anche in fase di proiezione. Si usa l’etere, e gli incidenti non sono rari. Quello più famoso avviene al Bazar de la Charité nel 1897, l’incendio provoca 130 vittime e innesca una polemica che la stampa alimenta per mesi buttando nel fuoco ogni sorta di ideologia allora in voga: l’antisemitismo, il classismo, la questione femminile. Ma che non scoraggia per lungo tempo gli spettatori.
A questo punto, si è tentati di tirare troppo rapidamente delle conclusioni normative. È vero che il cinema si è sviluppato incamminandosi sulla strada tracciata da Lumière, allontanandosi dalla fiera e muovendo verso la gravità dell’arte drammatica.

D’ALTRO CANTO, è anche vero che l’impronta di Edison non scompare. Nel 1905, il pubblico americano va a vedere gli spettacoli cinematografici nei «nickelodeon». Chiamati così perché per entrare si paga un nichelino. Resta, in quel riferimento sbandierato al gettone d’ingresso, l’idea del cinema come scatola magica, nella quale si fa scivolare una monetina per avere qualche minuto di puro divertimento. Sarebbe un errore pensare che questa divisione originaria, tra commercio e arte, fiera e teatro corrisponda alle due sponde dell’Atlantico. È vero che l’America ha inventato il sistema degli studios e la Francia la Cineteca. Ma la doppiezza del cinema è molto più profonda, interna tanto al cinema commerciale che al cinema d’autore. La storia della sala è appena cominciata.