Paolo Zappelloni, o Zap, come lo chiamavamo un po’ tutti nel mondo del cinema, che se ne è andato tre giorni fa e che verrà ricordato alla Casa del Cinema dagli amici oggi in tarda mattinata, con un serio passato di militanza politica, da anni era considerato soprattutto una sorta di romantico ultimo cinéphile. Qualcosa in via d’estinzione in questi anni dove tutto è visibile in dvd e in blue ray e dove, come ben insegna Quentin Tarantino, la visione di un film in sala in 35 mm per non dire in 70 mm diventa un momento di alta rivoluzione. Forse anche maggiore dell’impegno politico negli anni di «Metropoli».

Zap, incurante che il mondo era cambiato e non da ieri, vedeva tutto o quasi tutto come ai bei tempi. Cioè ai bei tempi di quando c’era davvero un cinema da andare a vedere in sala. In prima o seconda fila al massimo, qualsiasi fosse il film, come facevamo negli anni ’70 e ’80. Ricordo un giorno che andai a vedere un buffo film su due mondi capovolti e gli unici spettatori eravamo io, Checco Zalone e Zap in prima fila. Poi vennero due ragazzette. Ma c’erano così pochi film da vedere in questi anni, per i suoi gusti, che spesso i pochi buoni se li andava a rivedere più volte. Zap aveva lavorato molto in tv come ricercatore, in questi ultimi anni, mettendo a profitto la sua sterminata conoscenza cinematografica, ricordava a memoria qualsiasi scena del cinema classico e del cinema di genere, ma aveva lavorato anche al bel progetto di libreria multimediale romana Gli Angeli.

Del resto aveva anche una bella e ben tenuta biblioteca di cinema, con tutte le annate di Variety rilegate. Una ventina d’anni fa aveva anche costruito la videoteca ideale di un artista come Mario Schifano. Anzi, con Schifano erano proprio amici.

Ma soprattutto era l’immancabile presenza di ogni festival, soprattutto di Cannes e di Venezia. A Cannes dominava letteralmente le proiezioni del mercato, vedendosi, quando ancora aveva un senso vedersi ogni piccolo horror o avventuroso americano, tutto il possibile. Per passione e studio. Come tanti di noi. Sdraiato in prima fila con la camicia oltremodo sbottonata e le infradito in bella evidenza. Un giorno ci litigai per colpa del cinema underground o udigrudi brasiliano. Malgrado l’apparenza un po’ da tardo militante di tutto, della critica e della politica, Zap aveva dei gusti cinematografici da cinéphile ultraborghese che in qualche modo stridevano con il suo personaggio. Gli faceva schifo qualsiasi tipo di cinema sperimentale. Non mi andava giù che non capisse il cinema rivoluzionario brasiliano degli anni ’70. Niente, adorava soprattutto il cinema americano. Tutto. Non sono mai riuscito a capire perché.

A Venezia aveva avuto qualche problema dopo l’11 settembre, visto il suo passato diciamo importante ai tempi di Potere Operaio, ma poi era ritornato.

Adorava il cinema. Era, credo, tutta la sua vita. Proprio durante l’ultimo festival lo avevo visto in treno, già malatissimo, pronto a sbarcare al Lido. Sapeva esattamente come stava e aveva deciso di morire al cinema, di fronte a uno schermo. Si era sentito male la sera dell’omaggio a Carlo Lizzani e era stato portato all’ospedale e poi era ritornato a Roma. Non si sarebbe più ripreso. Ultimo film visto, però, Donatella di Carlo Lizzani. Ottima scelta.