Un’ ondata, due, tre e forse quattro. Non sappiamo quando finirà ma
quando sarà passata, la pandemia avrà prodotto un cambiamento enorme
in tutte le nostre vite. Abbiamo perso delle persone care, abbiamo
perso tempo, opportunità, un anno e forse ne perderemo un altro
ancora, ma parliamo di cinema.  Il cinema è – come Jurgen Klopp ha
definito il calcio – “la cosa più importante delle cose non
importanti”.

I cinema sono chiusi. I festival per la maggior parte sono stati fatti
online. Qualche film è uscito direttamente in streaming. Per altri
l’uscita è stata rimandata. Il nuovo 007 ormai è così vecchio che c’è
ancora Sean Connery nel ruolo dell’agente segreto britannico. Ci sono
stati e ci saranno effetti abbastanza ovvi. Il botteghino ha perso
tantissimi soldi. La produzione di film sarà meno attiva negli anni a
venire. I nuovi progetti dovranno lottare con altri film, quelli nuovi
e quelli rimasti in arretrato. Il cinema sopravviverà sicuramente.
Perché il cinema scritto così, al singolare, è un concetto e i
concetti non muoiono mai. Ma i cinema, beh, non tutti sopravvivranno.
Vuoti da mesi, ci saranno problemi di topi, di debiti, di un pubblico
con nuove abitudini. Le nuove misure di igiene e sicuramente un limite
alla capienza aggiungeranno costi e limiteranno la capacità di avere
un profitto.

Poi c’è un altro problema, inaspettato. Come raccontare il 2020 al
cinema? All’inizio abbiamo avuto Contagion, il film del 2011 di Steven
Soderbergh che dal fondo della classifica è diventato il sesto film
più guardato su iTunes nel mese di marzo. Poi molti di noi hanno
approfittato del momento per tornare indietro nel tempo.
Personalmente, io ho cercato di guardare tutti i film di Kurosawa e
Michael Curtiz che mi mancavano. Poi sono sopravvissuto grazie ad una
dieta di film commedia degli anni Trenta. Ma ora tutti gli
sceneggiatori avranno scritto qualcosa durante i numerosi lockdown. E
molto di questo materiale sarà terribile.

Il primo ad arrivare è stato bellissimo. Host di Rob Savage è un
horror ambientato interamente durante una chiamata su Zoom. Dura meno
di un’ora, è un film piccolo, teso e divertente. Language Lessons di
Natalie Morales – che ho visto al festival di Berlino – è un dramma
che si svolge tramite videochiamate tra un’insegnante (Morales) e il
suo studente privato, Mark Duplass: una tragicommedia fantastica,
toccante e reale. The End of Us di Steven Kanter e Henry Loevner è
molto più leggero; racconta di una coppia di ex fidanzati costretti a
coabitare dopo la fine del loro rapporto a causa del lockdown. Ce ne
sono altri – Locked Down, Songbird ecc – e ce ne saranno tanti altri
ancora.

E ci sono anche dei documentari che iniziano a raccontare il Covid-19
e la risposta dei governi. Totally Under Control di Alex Gibney è un
J’accuse contro l’amministrazione di Donald Trump, che utilizza una
sua tipica banalità come titolo. 76 Days è filmato a Wuhan, il ground
zero della pandemia, e documenta la vita dentro un paio di ospedali
cinese nel suo epicentro.

Ma forse ci sarà un altro effetto. Forse il pubblico non avrà più
voglia di sentir parlare di Covid e di lockdown. Forse assisteremo ad
un’esplosione di creatività e fantasia che ci trasporterà tutti
lontano da mascherine e tamponi. Come con i musical durante la grande
depressione, avremo la nascita di un nuovo genere di spettacolo.
Vedrete che andrà tutto bene.