In che modo gli acquari ci parlano del cinema come macchina di visione? È possibile che queste miniature della vita acquatica ci rivelino la natura delle immagini in movimento? «Lo schermo e l’acquario» (Edizioni ETS, pp.196, euro 20) si interroga sulla sfida estetica che il mare ha da sempre lanciato alla settima arte: molti film hanno infatti esplorato uno dei più misteriosi territori del pianeta facendoci sprofondare in una dimensione onirica e spiazzante, un’esperienza lontana dalle abituali sensazioni provate in superficie. Per fare questo, l’acquario ha funzionato da costante modello di riferimento.

Massimiliano Gaudiosi ricercatore presso l’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli dove ha tenuto numerosi corsi di cinema, ha affrontato un argomento insolito o almeno poco esplorato dagli studiosi con rigore e passione, tracciando un percorso attraverso l’archeologia dei media col supporto di documenti originali. Il libro pubblicato nella collana «Vertigo. Percorsi nel cinema» diretta da Augusto Sainati, con il sottotitolo «Scienza, finzione e immersività nel cinema degli abissi» che sintetizza l’impostazione concettuale della ricerca, riflette sull’esperienza cinematografica a partire dall’universo subacqueo e mostra come due mondi apparentemente lontani si siano più volte sovrapposti generando incontri inattesi. Coi suoi cristalli trasparenti l’acquario ha funzionato per il cinema come una perfetta metafora dei limiti della visione. «Questo libro si propone di operare in una dimensione prettamente subacquea, – scrive l’autore nell’introduzione – esaminando un paesaggio normalmente indisponibile ai nostri sensi: in altre parole, si osserverà la vita sotto il mare ponendo in secondo piano ciò che nei film avviene sopra il mare». Naturalmente una totale scissione tra le due posizioni è impensabile se non altro perché la terra e il mare, il fondo e la superficie sono da sempre strettamente interconnessi anche se in genere vengono percepiti come separati.

Al cinema inoltre le immagini sottomarine sono quasi sempre legate al mondo soprastante sia per ragioni narrative sia per accostamenti meno evidenti. Coerentemente con le premesse teoriche, nella trattazione non trovano spazio i racconti di viaggio, le esplorazioni navali, i racconti di migrazioni e naufragi, le storie di pescatori, pirati e marinai e anche un film mitico come «Lo squalo». E allora il viaggio marino che Gaudiosi conduce con lo sguardo del sub piuttosto che con il piglio di un capitano o di un capociurma si snoda attraverso cinque densi capitoli: «Forme di sguardo inabissato» parte dal «Ventimila leghe sotto i mari» di Jules Verne per analizzare i contatti tra lo schermo e gli abissi; «Fantasmagorie sottomarine: acquari pubblici nel XIX secolo» parla di un acquario precinematografico per approfondire la diffusione degli acquari di metà Ottocento e comprenderne la funzione di spettacolo e il rapporto con i media dell’epoca; «Al di qua e al di là del vetro» prende in esame due modi di immergersi per esaminare la vita dei mari nelle produzioni scientifiche e documentaristiche; «Acque finzionali »approfondisce il paesaggio sottomarino nel cinema di finzione; «Un mare di sensazioni» esplora l’oceano in 3-D, dal vecchio tridimensionale degli anni ’50 alle più recenti tecnologie Imax ad alta risoluzione e formato gigantesco alla luce delle moderne strategie immersive del cinema e dei media contemporanei.