Dottorando in geoscienze e appassionato di cinema, Xin Jianyi, venticinque anni, ha fatto qualche centinaia di chilometri per arrivare a Pingyao e partecipare al festival. Mi ha raccontato che questa è un’occasione unica per conoscere i nuovi film di autori internazionali – nonché le opere di giovani registi cinesi – che sarebbe difficile, se non impossibile, vedere altrove. È entusiasta anche del grande teatro all’aperto, «Platform» (dal titolo di un film di Jia Zhangke), 1500 posti con uno schermo gigante, il più grande dell’Asia. E nostante la temperatura durante le proiezioni serali fosse appena sopra lo zero, «Platform» ha registrato ogni sera il tutto esaurito anche qui con un pubblico decisamente molto giovane.

Come Xin Jianyi sono stati infatti tanti i ragazzi cinesi che in questi giorni si sono ritrovati a Pingyao, antica cittadina nel nord-ovest della Cina, per seguire la seconda edizione del Pingyao Crouching Tiger Hidden Dragon International Film Festival (11-20 ottobre) – così chiamato per gentile concessione di Ang Lee. Il suo fondatore è, appunto, il regista Jia Zhangke che ha voluto alla direzione artistica Marco Müller, profondo conoscitore del cinema cinese e con una grande esperienza come «fabbricante» di festival – da Locarno alla Mostra di Venezia.

L’ASPIRAZIONE generale dietro a questo progetto – come Jia Zhangke ci ha riassunto brevemente – è quella di creare un ponte tra il cinema d’autore e il pubblico cinese amante di questi film che il regista stima essere sui 45/50 milioni sparsi nell’immenso paese.

A Pingyao gli spettatori hanno quindi la possibilità di conoscere opere di generi molto diversi, proposte come un’alternativa valida al cinema di intrattenimento cinese che scimmiotta il modello hollywodiano dei blockbuster. Per i film stranieri il festival privilegia il cinema dei paesi emergenti, quello dell’Europa centrale, dei paesi africani, dell’India ecc. che, secondo Jia Zhangke, sono realtà molto creative che il pubblico cinese non ha mai occasione di conoscere.

Originario di Fenyang, città non lontana da Pingyao che spesso compare nei suoi film, il regista ha fortemente voluto tornare nella sua provincia natale, lo Shanxi, per stabilire la sede del suo festival, e Pingyao è stata la scelta ideale. Riconosciuta come sito Unesco nel 1997, l’antica cittadina possiede una cinta muraria interamente conservata che risale a seicento anni fa, oltre ad un affascinante centro storico ben preservato, fenomeno raro nella Cina di oggi.

IN UN ANGOLO della cittadella sorge oggi il palazzo del cinema, all’interno di un’area che un tempo ospitava una fabbrica statale di motori diesel poi dismessa. I lavori di ristrutturazione sono stati fatti in breve tempo con fondi pubblici ma soprattutto privati, Jia Zhangke ha infatti coinvolto come investitore l’amico imprenditore di Pingyao,Wang Zaipan, che tra le sue varie attività ha fatto fortuna con un incredibile spettacolo di teatro e danza che da dieci anni attira qualche centinaia di migliaia di spettatori l’anno.

I capannoni industriali sono stati riadattati a sale cinematografiche e a altri spazi per il festival, mantenendo però l’originaria struttura in mattoni grigi, tipica delle fabbriche cinesi degli anni sessanta, e sui muri esterni, seppure un po’ sbiaditi, si possono ancora leggere alcuni degli slogan di propaganda politica del periodo.

ORGANIZZARE un festival che vuole rimanere indipendente in un paese come la Cina, dove ci sono ferree regole di censura e dove recentemente il cinema è stato posto di nuovo sotto il controllo dell’inflessibile ministero della propaganda, è decisamente un’impresa complicata. Per ottenere il lasciapassare dei film stranieri ci vogliono abilità diplomatiche, molta pazienza e naturalmente anche una discreta dose di autocensura, ma, secondo il direttore artistico Müller, vale sempre la pena di rischiare quando si presentano le proposte al ministero.

 

Quest’anno, per esempio, nonostante la nuova situazione, sono stati approvati film come Girl di Lukas Dhont, con un protagonista transgender o Manta Ray del thailandese Phuttiphong Aroonpheng – già vincitore come miglior film nella sezione Orizzonti a Venezia – che narra di un rifugiato rohingya (la Cina sostiene il governo di Myanmar).

 

Naturalmente tutti i film cinesi proiettati al festival hanno il visto di censura, tranne i 12 della sezione WIP (Working in Progress) riservata agli addetti del settore, distributori, produttori e direttori di festival stranieri, perché non terminati – ma grazie a questa astuzia hanno potuto essere visti lo stesso. Tra questi c’è il nuovo lavoro del regista tibetano Sonthar Gyal, vincitore come miglior film del laboratorio WIP – un sostegno finanziario che gli permetterà di chiudere il film.

CROUCHING Tiger Hidden Dragon International è stato aperto da Half the Sky, prodotto da Jia Zhangke e realizzato da cinque registe provenienti dai paesi del Brics che hanno raccontato storie di donne in realtà ancora legate alla tradizione e la loro fatica a trovare un equilibrio nel mondo moderno. L’episodio più riuscito e interessante è quello della filmmaker russa Elizaveta Stishova, che narra, in maniera tragicomica, la storia d’amore nata su una chat tra una giovane contadina e un detenuto.

Nei premi Fei Mu, riservati esclusivamente ai film in lingua cinese, quello per il miglior film è stato assegnato a The Crossing, della regista Bai Xue, una storia di liceali che vivono tra Hong Kong e Shenzhen (in Cina), con i primi amori, le difficoltà della vita e il desiderio di indipendenza economica anche a costo di commettere illegalità. Il miglior film del premio Roberto Rossellini, dato dall’omonima fondazione, è andato a Soni di Ivan Ayr, che affronta la condizione delle donne nell’ India di oggi attraverso la vita di due poliziotte, mentre la miglior regia al giovane serbo Ognjen Glavonic per The Load,una riflessione forte e toccante sulla brutalità della guerra.

TRA LA NUOVA sezione «Made in Shanxi» che ha proposto nove film di registi o produttori provenienti da questa provincia o anche qui girati, i sette film della rassegna New Generation China e quelli presenti nelle altre sezioni, in tutto sono stati proiettati quasi quaranta film prodotti nel 2018 in Cina, di cui molti prime mondiali, un panorama sul cinema cinese estremamente vario e stimolante.

Le masterclass di Lee Chang-Dong, Abderrahmane Sissako e Lav Diaz hanno riempito le sale di cinefili e i panel organizzati durante il festival hanno stimolato discussioni interessanti come quello sulla critica cinematografica che in Cina deve ancora prendere forma.Infine la straordinaria retrospettiva di film della Nouvelle Vague sovietica degli anni’60 e’70, in prima mondiale dopo il restauro, ha suscitato una grande curiosità nel pubblico cinese, anche per le similitudini politiche e ideologiche che hanno contraddistinto il passato recente dei due paesi. Questi film all’epoca molto innovativi girati in un paese socialista, erano stati ritirati dalla circolazione e in seguito «riabilitati» nel 1987, rimanendo però completamente invisibili in Cina.

LA SECONDA edizione del Festival è stata più grande e ricca di quella precedente ed ha visto la partecipazione anche di molti esponenti dell’industria cinematografica cinese e internazionale; speriamo quindi che questa realtà che tanto ha da offrire agli appassionati di cinema cinesi, e non solo, possa proseguire e continuare a crescere.