Se n’è andato anche l’ultimo Wailer. La mattina del 2 marzo scorso Bunny Wailer ha abbandonato per sempre questa vita all’età di 73 anni. Le sue condizioni di salute erano precarie da quando era stato ricoverato d’urgenza lo scorso luglio in seguito a un secondo ictus. Già allora erano circolate in rete alcune voci circa una sua presunta morte, smentita dal manager. Ultimamente l’ex Wailers era addolorato per la misteriosa scomparsa dell’amata moglie, Jean Watt, sparita senza lasciare traccia. Per ritrovarla, la famiglia si è dichiarata disposta a pagare una ricompensa fino a un milione di dollari giamaicani a chiunque potesse dare notizie su un possibile avvistamento della donna.
Sono tempi duri per il ritmo sincopato giamaicano più popolare al mondo, marcato tristemente a lutto da diversi mesi. L’infausto 2020 si era portato via a fine anno, Albert Griffiths, storico leader dei Gladiators, sconfitto dagli effetti devastanti del Parkinson, poi il 17 febbraio scorso è toccato al decano del toasting, U-Roy, tirare l’ultimo respiro in seguito a un intervento chirurgico per un blocco renale. Bunny Wailer era una presenza austera del reggae più mistico e riflessivo. Mite e fiammeggiante, era capace di accendersi come una scintilla per una causa in cui credeva come di salmodiare con infinita dolcezza. Tutti i partecipanti all’incontro della Reggae University nell’edizione del Rototom Sunsplash del 2009 a Osoppo, in provincia di Udine – prima che il festival fosse costretto all’esilio in Spagna – ricorderanno con trepidazione il momento in cui Bunny Wailer incalzò pubblicamente Chris Blackwell sulle royalties non pagate del disco Blackheart Man, intimandolo a dare una spiegazione. Blackwell, con il suo consueto understatement da lord inglese, rispose di aver venduto la Island da un pezzo e di non essere più responsabile delle royalties. Questa risposta lasciò Wailer con l’amaro in bocca, che si alzò e se ne andò con estremo disappunto. Bunny Wailer è stato sempre un ospite fisso del Rototom, devolvendo nel 2012 l’intero cachet ai terremotati dell’Aquila.

TRAMANDARE
Il motto di vita di Neville O’Riley Livingston, alias Bunny Wailer, Bunny Livingstone, Jah Bunny, era tutto racchiuso in una sua prima composizione scritta nel 1962 e pubblicata solo dieci anni dopo, nel 1972 con i crediti assegnati alla moglie Jean, dal titolo Pass it on. C’è un verso della canzone che recita: «Live for yourself and you will live in vain, live for others, you will live again. In the kingdom of Jah, man shall reign. Pass it on» (Vivi per te stesso e vivrai invano, vivi per gli altri, vivrai per sempre. Nel regno di Jah, l’uomo regnerà. Tramandalo). Questo verso è stato trascritto sulla pagina Facebook dei Wailers a mo’ di epigrafe per l’ultimo commiato al terzo membro della storica band resa celebre dal successo internazionale di Bob Marley. Nel 1962 Bunny Wailer avrebbe dovuto fare un provino per Leslie Kong alla Beverly’s Records, più o meno nello stesso periodo in cui Bob Marley stava registrando Judge Not. Bunny aveva intenzione di cantare questa sua prima composizione, Pass it on, che all’epoca era più orientata allo ska, ma arrivò in ritardo e perse l’audizione.
Pass it on verrà inclusa molti anni dopo in Burning, l’ultimo album inciso dalla formazione originale dei Wailers con Peter Tosh, Bunny e Bob alla voce. Pubblicato nell’ottobre del 1973, Burning è il disco che segue Catch a Fire uscito nell’aprile dello stesso anno, dal suono molto meno edulcorato col proposito di compiacere maggiormente il pubblico black visto che, stando alla ricostruzione di alcuni critici come Lloyd Bradley, questo non aveva gradito i suoni adulterati dai mix della Island di Catch a Fire. Che, in Inghilterra, piacque più al pubblico bianco, ricevendo, però, anni dopo anche le lodi di Linton Kwesi Johnson che aveva particolarmente apprezzato l’enfasi sulle chitarre. Di fatto, Catch a Fire, fu il primo disco che cercò di cambiare i connotati del reggae senza che nessuno se ne accorgesse (tranne i diretti interessati, naturalmente). Burning è un disco più reggae e meno rock, più acustico e meno contaminato, che rivela la dicotomia interna dei Wailers e anticipa dissapori e separazioni: da un lato gli inni di protesta di Bob e Peter, dall’altro i peana di Bunny Wailer alla teologia rasta ed è l’essenza degli ultimissimi Wailers, in quanto riflette tre personalità uniche: Bob, il pensatore, Peter, il combattente, Bunny lo spirituale, tutte forti, tutte individualiste ma in perfetta sintonia rivoluzionaria.

SODALIZIO FRATERNO
Bunny Wailer era nato a Kingston nel 1947 e si era trasferito a Nine Mile con il padre quando era ancora un bambino. Di due anni più giovane di Bob, condividevano il destino di provenire entrambi da famiglie monoparentali. Bob e Bunny cominciarono a frequentarsi, e crebbero successivamente nella stessa casa come fratellastri, quando la madre di Bob andò a vivere con il padre di Bunny. Grazie a Bunny, Bob si appassionò alla musica e al canto e fu Bunny a farlo partecipare ai canti religiosi introducendolo al mondo degli strumenti a corda facendogli ascoltare i successi del momento attraverso un’emittente di New Orleans. La formazione musicale di Marley avvenne in questo contesto di povertà. Bunny e Bob si arrangiavano, non avevano i mezzi per comprare una chitarra né una buona radio, così per costruire qualcosa con le sembianze di una chitarra Bunny insegnò a Bob come ricavare la cassa di risonanza da una scatola di sardine vuota, un manico di bambù per l’impugnatura e dei fili elettrici come corde. Questo però non impedì ai due amici di entrare in contatto con il mondo della musica: infatti, grazie a un vecchio apparecchio radiofonico, riuscirono ad ascoltare gruppi come gli Impressions, Ray Charles e Elvis Presley. Nel 1963 fondarono The Wailing Wailers con l’amico Peter Tosh e con i membri di breve durata Junior Braithwaite e Beverley Kelso. La scelta del nome del gruppo è una dichiarazione programmatica, prima di diventare Wailers (coloro che si lamentano o i piagnoni) è Wailing Rudeboys (i disoccupati che vivono negli slum di Kingston), poi Wailing Wailers, nomi ispirati alla bibbia. Il repertorio dei primi Wailers, prima di abbandonare i capelli alla Sam Cooke per coltivare i dredlock, conserva i residui del suono nero americano.
Solitamente nel trio Bunny era quello che cantava di meno. Quando però Bob Marley lasciò la Giamaica per il Delaware nel 1966, Bunny cominciò a cantare e registrare come voce principale del gruppo scrivendo anche canzoni come Who Feels It Knows It, I Stand Predominant e Sunday Morning. In questo periodo la sua musica è molto influenzata dal gospel e dal soul di Curtis Mayfield. Nel 1967 registra This Train, la prima canzone basata su un coro gospel incisa per lo Studio One di Clement Dodd. Dalla sua penna sono sgorgati autentici capolavori come Dreamland, forse la sua composizione più immortale, e la militante Rise and Shine, solo per citarne un paio.
Il viaggio internazionale dei Wailers, primo gruppo reggae a ottenere un contratto con un’etichetta inglese, inizia grazie al fiuto e ai gusti musicali di Chris Blackwell che si trovava nell’invidiabile posizione di poter investire dei soldi su un gruppo giamaicano sconosciuto (anche se in patria erano già delle star), peraltro guardati come degli sfigati, senza l’assillo del successo commerciale, e si apre con Catch a Fire, primo album di reggae internazionale che non riesce propriamente ad accendere il fuoco del titolo. Dopo la firma del contratto con la Island, i Wailers cominciano ad andare in tour negli Stati Uniti e in Inghilterra, nonostante Livingston fosse abbastanza riluttante a lasciare la Giamaica. Con il successo internazionale del gruppo lui e Peter Tosh vengono oscurati da Bob Marley, su cui si concentra quasi tutta l’attenzione. Dopo il tour Bunny lascerà il trio cominciando la sua carriera solista segnata da album di successo come Blackheart Man, Protest e investigando anche generi come la disco con Hook Line & Sinker. Qualcuno ha anche ventilato l’ipotesi che il successo di Marley può essere spiegato con il suo essere mezzo bianco, una condizione meticcia che gli avrebbe permesso di relazionarsi con un mondo più ampio, ossia i bianchi. Fra l’altro questa ipotesi sarebbe accreditata dal fatto che i neri Peter e Bunny sono rimasti al palo. D’altronde nel mondo del rock c’è sempre stato posto per un solo frontman e per introdurre i Wailers nello stesso circuito, la scelta doveva ricadere sul più carismatico dei tre, e quella scelta ricadde su Bob Marley.