È in corso un grande dibattito, all’interno della sinistra cilena, sulla natura, sulla composizione, sugli obiettivi e sulle reali prospettive del futuro governo di Gabriel Boric.

E anche sullo stesso profilo del presidente eletto, sul quale i giudizi non potrebbero essere più discordi: per alcuni quasi un novello Allende, o almeno l’espressione dello «spirito di ottobre», cioè della rivolta sociale del 2019; per altri l’opportunista rappresentante di una classe politica disposta ad accorrere in soccorso di Piñera pur di salvare lo status quo neoliberista. E in mezzo, naturalmente, tutte le sfumature possibili.

A POCO PIÙ DI DUE MESI dal suo insediamento, che si terrà l’11 marzo, il 63% della popolazione mantiene in ogni caso un’immagine positiva di Boric, il cui programma di governo, se rispettato, potrebbe davvero cambiare il volto del paese. Un programma, almeno nella versione originaria, piuttosto ambizioso, mirando a garantire l’accesso universale alla salute con la creazione di un servizio sanitario nazionale, una riforma tributaria in senso progressivo, l’abbandono del sistema pensionistico privato, educazione pubblica, gratuita e di qualità. Come pure a dar vita, secondo le stesse parole di Boric, al «primo governo ecologista della storia cilena».

Grandi aspettative, in particolare, ha suscitato la promessa di «pensioni dignitose», attraverso il superamento dell’odiatissimo sistema dei fondi pensione (Afp, Administradoras de fondos de pensiones) in direzione di uno pubblico.

IDEATO DA JOSÉ PIÑERA, fratello del presidente uscente, e introdotto durante la dittatura di Pinochet, tale sistema aveva sostituito il modello a ripartizione con quello a capitalizzazione, obbligando ogni lavoratore a contribuire con il 10% del suo salario a un fondo privato gestito dalle Afp, con conseguenze disastrose per la grande maggioranza dei lavoratori senza uno stipendio alto e un impiego stabile. Non per niente la rifondazione totale del sistema pensionistico è stata una delle principali rivendicazioni delle proteste del 2019. Si tratta però di un obiettivo assai complesso, come indica anche la progressiva tendenza di Boric a moderare il suo discorso: in assenza di una maggioranza parlamentare, tutto rischia di tradursi in una riforma poco ambiziosa.

GRANDI SFIDE attendono il futuro governo anche in campo ambientale, a cominciare da quella delle cosiddette «zone di sacrificio» (territori su cui vengono scaricate le attività più inquinanti della produzione capitalista) come Quintero, Huasco e Mejillones e da quella della protezione delle acque e dei ghiacciai, soprattutto a fronte dalla grave siccità che ha colpito quest’anno il Cile, con il peggiore calo di precipitazioni dal 1915 e oltre 180 municipi costretti a convivere con il razionamento di erogazione dell’acqua. Un tema, quest’ultimo, che investe due aree chiave per l’establishment: il settore agroesportatore, principale consumatore di acqua del paese, e quello minerario.

MA IL PROSSIMO GOVERNO dovrà pronunciarsi anche su altre controverse questioni, da quella dell’espansione, anche all’interno di aree protette, della contaminante industria salmoniera a quella dello sfruttamento del litio, a fronte dell’apertura da parte del governo Piñera di un bando di gara per la concessione di licenze relative allo sfruttamento e alla produzione di 400mila tonnellate del prezioso minerale.

Per finire con il contestatissimo progetto minerario Dominga, diventato ancor più emblematico dopo le rivelazioni dei Pandora Papers riguardo alla milionaria compravendita della compagnia mineraria tra Piñera e il suo amico Carlos Délano nel paradiso fiscale delle Isole Vergini Britanniche, oltretutto condizionata all’impegno del governo Piñera a non dichiarare come riserva naturale l’area interessata dal progetto: quella del comune de La Higuera, nella regione di Coquimbo, dove si trova l’arcipelago che deve il suo nome ai rari pinguini di Humboldt.

Ma che si tratti delle pensioni, della sanità, dell’educazione, della questione ambientale o della smilitarizzazione del Wallmapu, la terra mapuche, le intenzioni del presidente, anche nel caso fossero le più avanzate, da sole non basteranno.

NON A CASO SONO IN CORSO, da parte dell’équipe del nuovo presidente, frenetiche trattative per assicurare al nuovo governo una minima base di appoggio che gli consenta di portare avanti il suo programma.

Di fronte alla prevedibile guerra che la destra scatenerà a difesa del modello imposto da Pinochet e dai suoi Chicago boys e alla prospettiva di estenuanti trattative con forze politiche di centro, ciò che allora definirà, come evidenzia Atilio A. Boron, «il margine di manovra e il destino del governo sarà la presenza cosciente e organizzata delle masse nelle strade e nelle piazze del Cile».

Errata Corrige

Il programma del nuovo presidente promette di cambiare il volto del paese, ma la destra difenderà con ogni mezzo il modello Pinochet-Chicago boys