L’argomento è già trito ma probabilmente se ci sono bisogni narrativi che si esprimono non solo con articoli su riviste e blog allora è da persone educate prestare ascolto. L’occasione stavolta è data da un pregevole documentario di Leonie Loretta Scholl «Berlin 4 Lovers» da lei prodotto assieme a Pedro Costa Neves. Il tema riguarda le app di incontri in una città simile e diversa da altre metropoli, Berlino. Dieci storie nella forma breve di monologhi da camera, senza voci off, sul rapporto con Tinder. La città da subito, tuttavia, entra prepotente nel magma inevitabile ed emozionale dei racconti che diventano una riflessione sulla relazione con la stessa Berlino, in carne e strade. Se Berlino è il messaggio Tinder è il mezzo. Per chi non conosce a fondo la città non è semplice coglierne l’anima e andare oltre l’accozzaglia di immagini edulcorate che anestetizza l’amarissima realtà di chi vive il luogo quotidianamente e non in vacanza. Un’impronta e un carattere vago e introverso, scostante, solitario ma molto magnetico. Un’ansia da balocco perenne che lascia molti cadaveri alle spalle, per tutti gli altri «città creativa e libera». Un binomio per statistica ed evidenza non certo errato, ma riduttivo ed esasperante. Non tutti possono essere geniali cervelli in fuga da qualche strega cattiva e sul termine «libertà» si scivola sempre in banalità ed equivoci. Comunque, nell’ambito ristretto di questo spazio «i creativi» non si possono evitare se non altro perché è il milieu dei protagonisti del documentario, chi più chi meno; alcuni fanno parte dell’entourage degli stessi autori e c’è anche qualcuno che è un ex appuntamento nella vita reale (quella cosa che esiste senza dispositivi di mezzo). Nonostante la vicinanza di ambiente le storie di vita e di utilizzo dell’applicazione sono diverse: c’è chi grazie a Tinder ha messo su famiglia, chi ha subito uno stupro, chi la usa senza aspettative e senza prendersi mai sul serio. In una città con specifici tratti genetici pare quasi impossibile prescindere dal supporto della tecnologia, della macchina che costringe ad uscire dall’introspezione sull’eterna dancefloor. Alle voci dei protagonisti, trapianti nella città da altri luoghi, si alternano le vie della capitale con i suoi silenzi e il suo allestimento teatrale di deragliamento della norma. Esce fuori un sentire comune umanamente confuso e imperfetto su cui la colonna sonora stende il suo manto di grazia con i testi bizzarri di Doctorella e le sonorità dolci di The Ghost of Helags.
www.natashaceci.com