Ambiente, cibo e spreco alimentare, sono i temi della conversazione avuta con Carlo Petrini alla vigilia del suo viaggio in Brasile. Il fondatore di Slow Food ha in programma numerosi incontri con le comunità brasiliane del cibo, che tutelano produzioni alimentari che rischiano di scomparire di fronte all’avanzata del cibo globalizzato.

Petrini lei ha partecipato nei giorni scorsi al Sinodo sull’Amazzonia in corso a Roma, su invito personale di Papa Francesco, per parlare di cibo. Un invito che ha suscitato sorpresa, è stata una occasione importante che gli ha consentito di esprimere la sua visione.

Nella discussione che è in corso al Sinodo mancava l’aspetto del cibo che garantisce la vita e consente di costruire le relazioni sociali ed affettive. Parlare di cibo vuol dire parlare di cultura e umanità. Non si sottolinea mai abbastanza il valore del cibo come elemento relazionale. Condividere il cibo significa stabilire relazioni umane e favorire la comprensione tra le comunità. Ho voluto mettere in evidenza il ruolo che esso può svolgere nel tutelare la biodiversità naturale ed umana. Bisogna garantire l’accesso al cibo rispettando gli ecosistemi. Nell’Enciclica Laudato si’ viene espresso un concetto fondamentale: tutto è connesso. Il cibo può contribuire a costruire quell’ecologia integrale auspicata da Papa Francesco e che rappresenta la grande novità dell’ambientalismo.

Nel suo intervento ha anche fatto riferimento al ruolo che le donne e gli indigeni possono svolgere rispetto al cibo.

Ho voluto ricordare la sapienza e l’impegno delle nostre nonne e delle nostre mamme e riconoscere il ruolo fondamentale che le donne possono svolgere nell’educare al consumo del cibo. Per quanto riguarda gli indigeni si ha una visione riduttiva del loro ruolo. Nella realtà sono la più importante categoria di raccoglitori dei frutti della terra. Gli indigeni dell’Amazzonia sono depositari di conoscenze e quando la raccolta rispetta l’ambiente si tutela il patrimonio e si salvaguarda la biodiversità. Gli indigeni preservano un ecosistema e l’ecosistema consente ad essi di vivere. Va riconosciuto a queste popolazioni il merito di aver difeso e di continuare a difendere un patrimonio che appartiene a tutti.

C’è molta curiosità e aspettativa per libro che sta scrivendo a quattro mani con Papa Bergoglio, un libro di conversazione sui temi ambientali.

Il libro non vuole essere una enciclica sociale, ma non si può parlare di ambiente se non si parla di povertà e distribuzione delle risorse. Abbiamo più volte ricostruito col Papa come viveva una famiglia di origine piemontese nella Buenos Aires degli anni ’50. Le riflessioni contenute nella Laudato si’ sono state espresse da un figlio di migranti che, pur non avendo una visione ambientalista, ha saputo accogliere le sollecitazioni che arrivavano dai vescovi del sud del mondo, in particolare da quelli brasiliani. La povertà è il risultato di questa economia che uccide, perché si sacrificano i bisogni degli individui sull’altare della logica di mercato. Bisogna mettere in discussione questo modello di produzione e consumo, per costruire un nuovo modello economico che non sia di tipo predatorio, ma basato sulla difesa del bene comune. La Laudato si’è il risultato di una riflessione profonda che il Papa ha maturato nel corso del tempo. Siamo di fronte a un documento di importanza storica per i concetti che esprime e per la sua visione alta e innovativa, che ancora non è stato ben compreso dal mondo laico e neanche da una parte del mondo cattolico.

Da decenni promuove e organizza in tutto il mondo comunità che hanno l’obiettivo di garantire un cibo «buono, pulito e giusto», raggiungendo risultati straordinari. Ora ha lanciato, insieme al vescovo di Rieti, la costituzione delle Comunità Laudato si’, che vedono il coinvolgimento di laici e cattolici per favorire un lavoro comune intorno alle questioni poste dall’Enciclica.

Sono comunità territoriali per favorire confronto e condivisione e per la costruzione di un discorso nuovo sui temi ambientali. In queste comunità si possono mettere in comune conoscenze ed esperienze per individuare nuovi obiettivi, promuovere iniziative e favorire il cambiamento. Nell’idea di comunità c’è il bene comune, legato all’ambiente, al cibo, alla socialità.

Non si può non parlare della crisi socio-ambientale che sta vivendo l’Amazzonia.

La situazione è particolarmente grave e interessa tutta l’area amazzonica. Deforestazione e monocolture sono il risultato di questo modello produttivo e le politiche ambientaliste del governo Bolsonaro stanno producendo una accelerazione dei fenomeni. La situazione è esplosa e sta aggravando la crisi climatica. Il Sinodo può fornire un contributo importante, insieme ai movimenti contro i cambiamenti climatici, per salvare l’Amazzonia.

Ma parlare di cibo porta inevitabilmente ad affrontare il tema dello spreco alimentare. Lo spreco di cibo è l’aspetto più evidente di un modo di produrre, vendere e consumare che non funziona.

Al di là dell’aspetto etico, che pure è importante, siamo di fronte a livelli insostenibili per quanto riguarda gli sprechi in campo alimentare. Attualmente il 30% della produzione alimentare viene sprecata. Ma per produrre questa quota di alimenti che non vengono consumati si devono utilizzare terreni fertili, vengono impiegate grandi quantità di acqua, si producono milioni di tonnellate di anidride carbonica. Si consumano risorse e si producono gas serra per ottenere cibo che non viene utilizzato: questa è l’altra faccia dello spreco. Nel 2050 la popolazione sarà di 9 miliardi di persone e attualmente quasi un miliardo di individui soffre la fame. Malnutrizione, fame e spreco alimentare sono strettamente connessi. La produzione attuale sarebbe in grado di sfamare tutti se si riducesse lo spreco e ci fosse una equa distribuzione. Siamo di fronte ad un sistema di produzione che è ingiusto e insostenibile. Lo spreco alimentare coinvolge tutti, paesi ricchi e poveri, anche se con caratteristiche diverse. Le logiche di mercato favoriscono lo spreco e impongono di aumentare la produzione di alimenti. Ma non bisogna produrre più cibo, bisogna sprecarne di meno. Se solamente si riuscisse a portare lo spreco dal 30% al 15% sarebbe un risultato enorme e avremmo risorse per tutti. E’ necessario valorizzare i terreni fertili e recuperare quelli degradati per produzioni agricole destinate all’alimentazione umana. Bisogna mettere il cibo al centro di un nuovo progetto di vita, di un nuovo modello di produzione e consumo. Vanno valorizzate le economie locali e di piccola scala, con la creazione di filiere corte. A livello mondiale abbiamo una parte della popolazione che soffre di patologie da iperalimentazione e un’altra parte che soffre la fame. Questa situazione è il risultato di un sistema alimentare criminale. Le scelte politiche dovrebbero andare nella direzione di attuare azioni che io chiamo di contrazione e di convergenza. Una contrazione dei consumi, soprattutto di carne, nelle aree del benessere e, nello stesso tempo, di convergenza per chi non ha alimenti sufficienti. L’informazione e l’educazione alimentare sono fondamentali per favorire comportamenti consapevoli.