Il ronzio del refrigeratore s’interrompe, seguito da pause alterne. Raffreddare è l’azione che permette alla forma di mantenere la sua consistenza. A tradirne la natura è l’odore sovrastante (in un certo senso anche rassicurante) della margarina che Sonja Alhäuser (Kirchen 1969, vive e lavora a Berlino) modella come fosse creta. L’artista (proviene dalla Staatliche Kunstakademie di Düsseldorf) ha terminato Fragment I (2018), la sua prima scultura romana e poi l’ha collocata nel frigo, nel suo studio all’Accademia Tedesca di Villa Massimo dove è in residenza per l’anno accademico 2018/19.

Il suo è un viaggio nel cibo, materia di per sé effimera, nel passaggio da uno stato all’altro. Un modo per intercettare tempo, memoria, sessualità, sentimento e società prolungando l’essenza stessa di questo ingrediente deperibile attraverso il linguaggio dell’arte.
Il disegno è una pratica costante che accompagna il suo percorso: disegna a matita utilizzando anche la carta da forno. Nella Città Eterna si è soffermata, in particolare, sui dettagli di sculture e architetture barocche (putti, cartigli, le api stilizzate dello stemma dei Barberini…) che attraverso il suo tratto appaiono alleggerite dal peso di secoli di storia. Ma per la realizzazione delle sue sculture non si avvale di bozzetti: «La cosa bella della margarina – in passato ho usato anche il burro – è la morbidezza», spiega. «Uso solo le mie mani e il loro calore per modellarla. Mi piace che si vedano le impronte dei miei polpastrelli. La parte più liscia dei corpi, come la pancia, la massaggio. Non è come quando si lavora l’argilla o la cera, bisogna essere veloci. È qualcosa che ha anche a che fare con il cucinare». Il frigorifero fa parte dell’opera, anche in una chiave simbolica di energia: per l’artista si tratta di fermare il tempo. «Nelle sculture che vanno in frigo i personaggi hanno delle posizioni che normalmente non avrebbero, sono come bloccati nell’attimo in cui sta per succedere qualcosa». Il gesto traduce lo sconfinamento nell’immobilità eterna, come nei calchi di Pompei. L’ambiguità è un altro elemento comune, sia che si tratti di opere di marzapane, cioccolata o margarina, proprio come Fragment I realizzata con i panetti di margarina industriale da 2 kg e mezzo (per un totale di 50 kg), dove la vitalità non maschera la disillusione rispetto all’immortalità. Dalle prime sculture in burro è rimasta l’associazione al modo di dire «un buon burro tedesco», sinonimo di un cibo nutriente. «Il burro è come il barocco, qualcosa di ricco, esuberante. Per mia madre e le persone della generazione del dopoguerra era importante sottolineare anche l’abbondanza con espressioni come “questi biscotti sono fatti di buon burro, perché ce li possiamo permettere”. In Germania c’è anche la tradizione natalizia dei dolci da forno e le donne facevano quasi a gara per preparare i biscotti migliori, sfornandone grandi quantità. Io sono figlia del mio tempo, ma ho risentito dell’influenza di mia madre. Si dice anche che con il mangiare non si gioca, cosa che io invece faccio».

Per lei si tratta di procedere per sublimazione, producendo un nutrimento attraverso uno sguardo consapevole. Nel grande disegno-ricetta Lieblingssuppe (2016) che si srotola sulla parete dello studio il memento mori è sollecitato dalla presenza dei due amanti-scheletri mentre mangiano assaporando il godimento. Mangiare insieme alla persona amata la «zuppa preferita» è la rappresentazione dell’unione totale. «Mangiare è bello, però molte cose non lo sono, come la morte, la separazione, le contraddizioni». Il valore aggiunto che l’artista dà ad un cibo è disegnarlo prima di cucinarlo e mangiarlo, naturalmente prevedendo la sperimentazione.
Quando Alhäuser disegna una ricetta non è mai così come la trova in un libro, la trasforma. Anche la sua zuppa preferita (quella di Lieblingssuppe) ha subito almeno un paio di variazioni: il suo compagno Martin, quando era a chef a Londra, l’aveva rielaborata traducendola per lei in tripudio di sensualità e amore con ingredienti come salmone, patate e carote, panna, vino bianco e pepe. Lei, poi, ha aggiunto limone e tanto zenzero. «È una zuppa sincera, perché le patate sono qualcosa di semplice, mentre il salmone è più raffinato. È stata questa pietanza a convincermi, a farmi innamorare di lui».