Abbiamo chiesto a Cinzia Scaffidi, vicepresidente di Slow Food Italia, su cosa potrebbe significare per tutti il raggiungimento dell’accordo del Ttip

Slow Food è entrata nella coalizione Stop-Ttip e sarà presente alla manifestazione di oggi. Cosa ha a che fare questo trattato con il «cibo lento»?

Quello che per brevità molti chiamano cibo lento è cibo «attento». Alla salute, all’ambiente, al piacere, alla cultura, ai diritti: cibo di qualità. Questo patto tratta il cibo come tratta tutto il resto: merce da vendere e da comprare, quanta più possibile, il più velocemente possibile. Il cibo di qualità che l’Europa e gli Usa producono ogni giorno, e che i consumatori attenti richiedono con sempre maggiore convinzione è regolato da un principio di base, che è quello della cura.

Ma questo trattato non impedirebbe a chi vuole produrre eccellenze di continuare…

Non sto parlando di eccellenze, nel senso dei grandi nomi e cognomi dell’agricoltura «famosa». Sto parlando di una qualità diffusa, di un livello medio che in Europa è alto perché è difeso da normative attente alla salute, all’ambiente e ai diritti. Abbiamo una storia diversa, e ci riferiamo all’idea di cibo in un modo diverso. Non ce lo possiamo ricordare solo quando parliamo a vanvera di Made in Italy nei convegni.

Viene fuori una visione idilliaca dell’operato dell’Unione Europea…

Per carità, l’idillio è lontano. E si è allontanato ancora un po’ con l’ultimo voto sul glifosato: dopo le ricerche che ne dimostrano l’azione cancerogena, invece di vietarlo è stata rinnovata l’autorizzazione per altri 7 anni anziché per 15. Tuttavia non possiamo non ammettere che su questo ambito del Ttip per una volta i nostri standard nel settore agroalimetare sono ben diversi, e ben al di sopra, di quelli medi americani. Lo provano, tra i tanti esempi possibili, i dati dei ricoveri per tossinfezioni alimentari. Meno di 50 mila all’anno in Europa (500 milioni di abitanti) e circa un milione e mezzo negli Usa (circa 300 milioni di abitanti). Gli standard europei in questo momento garantiscono maggiormente la sicurezza alimentare e la tracciabilità. Con tutte le lacune che sappiamo e sulle quali stiamo lavorando da anni.

E questo trattato si propone di «armonizzare» gli standard di Europa e Usa.

Esatto: ma armonizzare con un tratto di penna due livelli così diversi è possibile solo se si abbassano i livelli più alti. Anche perché sono proprio quelle le «barriere non tariffarie» che impediscono una maggiore circolazione delle merci tra i due continenti. Non sarebbero certo gli Usa, che si adeguerebbero al principio di precauzione che sta alla base di tante normative europee. Non sarebbero certo loro ad abolire gli ormoni dall’allevamento, per esempio. Dovremmo essere noi ad eliminare il divieto di importare la carne allevata con quei sistemi.

E dal punto di vista dei consumatori?

I consumatori in questo giochetto sono completamente tagliati fuori. E lo capiamo meglio se invece di pensarli come consumatori li pensiamo, innanzitutto, come cittadini. In questo senso sono in pericolo doppiamente: cioè, non solo perché l’abbassamento degli standard travolgerebbe le normative che tutelano la loro sicurezza e i loro diritti all’informazione, ma anche perché coloro che come cittadini hanno votato ed eletto, non hanno avuto ruolo in queste negoziazioni a porte chiuse, lontano dalle istituzioni democratiche, tra quanti stanno scrivendo il trattato (tavoli di tecnici, emanazione diretta delle aziende e non dei governi) e alcuni Presidenti o primi ministri che però si comportano come membri di un club, non come rappresentanti di popoli.