Il Chisciotte di Antonio Moresco (Sem, pp. 120, euro 15) è un flusso inarrestabile, una scorribanda lisergica che attrae il lettore, con la sua forza centripeta, senza sosta dalla prima all’ultima pagina. Collocato all’interno di un’istituzione manicomiale Chisciotte si aggira con il suo bagaglio di visioni e utopie, in un continuo ed esplicito rispecchiamento con l’autore che appare non a caso in copertina vestito in camicia da notte e con i capo un cappello piumato. Tuttavia la forza del rapido e a suo modo feroce romanzo di Moresco è proprio quella di sfuggire da una facile analogia per scagliare tutta l’assurdità di Chisciotte in faccia al lettore.

UN ROMANZO COMICO di ispirazione picaresca che plasma in continuazione la figura di Chisciotte poggiando le uniche certezze nella fiducia da sempre totale che l’autore nutre per la letteratura. Tra deliri e visioni, tra esagerazioni e pulsioni si sviluppa così in poco più di cento pagine un canto alla libertà utopica di Chisciotte che è la medesima della letteratura. Che fa capolino tra le pagine del libro rivelando come il manicomio qui rappresentato non sia altro che il luogo opprimente dentro al quale tutti noi viviamo e che fortunatamente viene di volta in volta visitato – o meglio attraversato – dai personaggi letterari e dai loro autori.

Chisciotte ricorda a tratti la vulcanica ed eclettica forza delirante del capolavoro di Gianni Celati, Le avventure di Guizzardi, qui tuttavia è presente seppur in chiave non didascalica una volontà quasi pedagogica. La letteratura che si fa protagonista e complemento fondamentale della narrazione e del suo senso è proposta non come cura in senso stretto, ma come parte di una forma di libertà conquistabile e come elemento fondante di una sperabile felicità.

Chisciotte è forse il testo in cui Moresco schiaccia più a fondo il pedale dell’utopia, guardando però negli occhi il lettore, elemento sostanziale sia del sogno letterario quanto della realtà. Più che un romanzo, una lettera d’amore alla letteratura, a quella Dulcinea dalla doppia bocca che convoglia pulsioni, amore e fatali abbandoni. Una missiva che prima o poi potrebbe diventare un film chiudendo definitivamente i conti con il tema. Un film recitato da amici scrittori e artisti, un’opera che lo stesso autore immagina e prevede totale e potente, capace di dare corpo alla meraviglia e alla sua forza liberatoria.

UNA SINTESI DI MONDO, così potrebbe essere definito il Chisciotte di Moresco, che racchiude dentro di sé, oltre alle mille pagine di Cervantes, quelle di Fedor Dostoevskij, di Herman Melville fino a Giacomo Leopardi e a Emily Dickinson. Un canto alle infinite possibilità del desiderio di prendere forma grazie alla letteratura, un libro magico che vive e respira dello spazio possibile dato dall’eros come dal riso che spunta inevitabile fino a invadere gioiosamente le pagine. La stoica solitudine del sognatore ha preso la forma di una beffarda ironia che ricorda, forse non a caso, I magi randagi di Sergio Citti.