Quanto possono essere interessanti le corrispondenze che coinvolgono grandi nomi della letteratura, specialmente quando a dialogare con questi ci sono personalità rilevanti di altri ambiti? Chiaro, il giudizio è soggettivo. Per chi qui scrive, in una scala da zero a dieci, il valore è undici. E questo perché, anche in caso di esempi noiosi, c’è sempre la possibilità di trovare intersezioni o ponti tra realtà e immaginazione che spesso, nelle singole discipline, rimangono nascosti.

L’impressione si conferma tale leggendo LSD, il carteggio tra il noto scrittore tedesco Ernst Jünger e lo scienziato svizzero Albert Hofmann. Il libro è uscito da pochissimo, lo pubblica da noi la casa editrice di Macerata «Giometti&Antonello» (prefazione di Donato Novellini, traduzione di Simona Piangatello). Si tratta di un dialogo che copre un ampio arco temporale, dal 1947 al 1997, dunque un’ampia selezione di lettere. Il tema è già indicato nel titolo. Hoffmann è lo scienziato che per primo ha sintetizzato, assunto e appreso gli effetti del dietilamide dell’acido lisergico, a partire dalle sue ricerche sulla segale cornuta (1943). L’incontro tra lui e Jünger nasce per così dire sul campo, dato l’interesse comune nelle droghe, e si tramuta in un’amicizia. Di conseguenza il libro, oltre a valere come testimonianza delle vite degli interlocutori, si può leggere in modi diversi. Per esempio, in relazione al tema. Ma anche, in senso lato, come racconto di un possibile dialogo tra scienza e letteratura.

Le porte strette della percezione

LSD è certamente un libro interessante da collocare nel contesto della storia del dibattito sulla droga, dalle sperimentazioni fino al consumo.

All’inizio tra i due il tono suona un po’ formale. Uno, il chimico, sembra essere in una posizione quasi di velata riverenza nei confronti dell’altro. Ma poi nel dialogo sarà proprio l’altro, lo scrittore, a chiedere di togliere dalla loro conversazione tutti i segni di distanza.

Come anticipato, il motivo del loro incontro è l’interesse di entrambi nelle droghe. Per Hoffmann si può intuire che c’è ovviamente una causa scientifica, sebbene il carteggio suggerisca, in qualche modo, il suo sentire le proprie ricerche simili a parentesi creative tra i ritmi del sistema industriale in cui è immerso ai laboratori Sandoz. In questo, la presenza dello scrittore sembra funzionare alla maniera di un modello di riferimento per le sue fughe interiori. Viceversa, per lo scrittore, il dialogo sembra l’occasione per affinare, approfondire, completare la base razionale delle sue scritture sull’argomento – qui il pensiero va sicuramente a certe sue opere: Heliopolis, Visita a Godenholm e Avvicinamenti.

Ora, nella loro conversazione un tratto caratteristico è sicuramente il punto di vista che viene fuori sull’uso e la comprensione sociale dell’LSD. Il tema è più che mai attuale. In merito, i due sembrano concordare, forse anche per un pensiero politico non distante – di Jünger sono noti l’anarchismo, il nichilismo, il rifiuto verso una lettura sociale dell’esistente; di Hoffmann si può forse intuire un possibile conservatorismo di fondo (in una delle sue ultime lettere cita Helmut Kohl e François Mitterand). Quindi, quale opinione viene fuori alla fine? In sintesi, un essere contro l’idea di un consumo per tutti. Contro Aldous Huxley – nonostante il rispetto e la considerazione di entrambi – ma soprattutto contro l’assunzione di allucinogeni nella maniera teorizzata dall’America, per esempio dal primo Timothy Leary. Questo, forse, per la loro resistenza a vedere nell’LSD e in generale nelle droghe un prodotto di mercato. Si tratta invece di qualcosa di diverso. Si direbbe: una possibilità di conoscenza, un qualcosa che implica una preparazione e, inoltre, un proprio tempo. Hoffmann: «Se bisogna sconsigliare ai ragazzi, e con questi intendo i giovani sotto i 20 anni, le droghe come l’LSD, non è in primo luogo per i gravi rischi di bad trip, ma perché il vero valore di questo tipo di sostanze risiede nella loro funzione rivelatrice. Si deve/può andare a dischiudere la porta, quando l’anima sta maturando?»

Nel loro caso, si potrebbe dire che le porte della percezione non sono porte automatiche, scorrevoli o girevoli, ma passaggi stretti che, comunque, necessitano di una chiave. Dove trovarla?

La natura delle cose

In Hoffmann, Jünger sembra poco a poco specchiarsi: l’attività scientifica dello svizzero, le proprie scoperte, divagazioni, narrazioni, diventano una specie di corrispettivo per lo scrittore. In queste, ritrova le sue passioni per il raccoglimento spirituale, l’attenzione alla potenza degli elementi, la predilezione per una idea di comunità, per così dire, intima. Ovviamente, alla base, c’è la scoperta e la sperimentazione dell’LSD, ma è interessante notare il linguaggio tra i due, dal momento che una volta divenuti intimi amici, cambia: fino a toccare le corde del lirismo o, addirittura, a suonare criptico qualche volta.

Si potrebbe parlare di segnali di una profonda sintonia tra le parti.

Ma più in generale la lettura di questo carteggio sembra essere in grado di rappresentare un esempio di dialogo quasi per osmosi tra scienza e letteratura. Un esempio icastico, dove entrambi i campi, per così dire, ci guadagnano. E questo «incontro» avviene sotto il segno della natura, così importante nel pensiero e nella vita di entrambi – diciamo: come buen retiro e scoperta. È su questo piano che si può pensare l’LSD, per Hoffmann e Jünger, simile ad una specie di eco dell’azione di un mondo dell’originarietà. Qualcosa che si deve imparare a sentire e seguire alla maniera di una trama e di cui rivendicano, forse, una profondità anti-contemporanea, decifrabile solo quando ci si pone in un atteggiamento dove la «pre-visione» anticipa, non esclude, e dà il la all’esplorazione.

Come in una vera filosofia dell’avventura.