«La via maestra», non l’unica via, «è il voto».

I leader del centrodestra, riuniti a Roma proprio mentre Renzi comunica il ritiro della delegazione Iv dal governo, «ribadiscono con chiarezza la loro indisponibilità a sostenere governi di sinistra». Il che è talmente ovvio da non richiedere una nota congiunta. Importa invece che analoga indisponibilità non ci sia verso governi di altro tipo. L’opposizione immagina che il vero obiettivo del leader di Italia viva sia un governo istituzionale e non dice – non chiaramente, non soprattutto unitariamente – di no.

Le manovre sono in corso. La «grande compattezza» della coalizione di centrodestra che le opposizioni si auto «confermano» nella nota, in realtà non c’è. Anche perché il vertice di ieri pomeriggio è stato convocato nella versione allargata. Con Giorgia Meloni, Matteo Salvini e Antonio Tajani (su sempiterna delega di Berlusconi), partecipano anche il segretario dell’Udc Lorenzo Cesa (tre senatori), il capo di Cambiamo e presidente della Liguria Giovanni Toti (altre tre senatori) e il numero uno di Noi con l’Italia Maurizio Lupi (quattro deputati).

Meloni va dritta sul voto subito: «L’Italia non può permettersi di perdere altro tempo. Conte si dimetta. Elezioni subito». Salvini arriva al vertice con un ragionamento più articolato: «Su cinque punti, su cinque riforme precise da fare in pochissimo tempo, io credo che in parlamento un’alternativa ci possa essere e che sia nostro dovere offrirla agli italiani». Ne esce più in sintonia con Meloni: «Conte venga in parlamento domani. Se non ha la maggioranza si vada a votare». E fa l’elenco di quattordici paesi dove sono previste elezioni nel 2021: «Elezioni, democrazia». Tajani invece di elezioni non parla affatto. Si limita a dire che «bisogna fare presto» e a ribadire l’ovvio: «Nessun sostegno a governi che hanno maggioranze con valori e programmi alternativi ai nostri».

Le truppe responsabili che, scommettendo sulla non ostilità di Berlusconi, si preparavano a sostenere Conte, ora in questa fase regrediscono nell’ombra. Ma ci sono e condizionano anche loro la prudenza del centrodestra. Ogni baldanza va misurata con la totale indisponbilità dei parlamentari anche di opposizione a precipitarsi al voto.

Anche perché, ragionano al vertice, non si può assumere una posizione più incendiaria di quella di Beppe Grillo, che in giornata ha rilanciato, proprio lui, l’idea che «non può esistere una distinzione tra maggioranza e opposizione perché tutti i rappresentanti del popolo devono contribuire uniti a sostenere il paese». Tradotto negli auspici di Giovanni Toti: «I responsabili dovrebbero essere tanti, non solo un manipolo. Per traghettare fino a una stagione più tranquilla. È difficile che si vada a votare».

Lo scenario atteso – apertamente respinto solo da Meloni – è quello di un governo istituzionale che porti fino all’anno prossimo, con una maggioranza pronta a dire la sua anche sul nuovo presidente della Repubblica. L’unica cosa sulla quale tutto il centrodestra concorda, dunque, è che Conte non faccia finta di niente: «Ci affidiamo alla saggezza del presidente della Repubblica per una soluzione rapida, Conte prenda atto della crisi e si dimetta o venga subito in parlamento». Poi si vedrà.