«È il festival centrale della guerra dei vent’anni da parte della giustizia politicizzata contro di me». I nervi saldi reggono per una notte. Poi, quando da Napoli arriva la richiesta del rinvio a giudizio per la compravendita dei parlamentari, cedono di colpo. Silvio Berlusconi smette i panni poco abituali dello statista e si infila quelli del descamisado, ma senza ancora minacciare il governo. La manifestazione di sabato prossimo a Brescia, che doveva essere sostituita da una più sobria conferenza stampa, si farà (salvo ripensamenti). Forse non sarà l’unica. Serpeggia la voglia di organizzarne un’altra, ancor più fragorosa, magari proprio di fronte al palazzo del nemico, il tribunale di Milano, e magari proprio in contemporanea con la requisitoria della più odiata fra le odiate toghe, Bocassini Ilda, nel processo Ruby.

Passi l’evasione fiscale e passi Ruby. Quella era roba che il Cavaliere, politicamente, era certo di poter reggere e giudiziariamente spera nella Corte di cassazione: «Ho sempre trovato un giudice a Berlino e credo che avverrà anche questa volta», ripete infatti in una delle sue interviste a tutti i tg della sera.

Ma Napoli no. Napoli colpisce duro e dove fa più male: nella credibilità politica. Un processo per corruzione, coi tempi che corrono, può comportare effetti devastanti nei sondaggi molto prima che nelle sentenze. Inoltre la sequenza Milano-Napoli convince il Cavaliere che, come ripetono i suoi, «questi mirano al bersaglio grosso». Vogliono il suo scalpo.

Così la voce melliflua di Gianni Letta perde all’improvviso presa e Berlusconi torna alle barricate, pur sapendo che le bombe pioveranno sui nuovi alleati del Pd prima e più che su chiunque altro: «Spero che prevalgano i più ragionevoli», si limita infatti a commentare. A Brescia (sempre salvo ripensamenti) ci sarà Berlusconi, e non potrà andarci leggero. Per un Pd che già soffre le pene dell’inferno con quest’alleanza, roba tipo «toghe cancro della democrazia» e affini sarebbe un guaio enorme. L’eventuale bis a Milano potrebbe diventare insostenibile. Ma se il Pd annega, anche il Pdl fatica a galleggiare, nonostante i sondaggi positivi. Ormai votare in giugno è fuori discussione: terremotare il governo vorrebbe dire arrivare all’autunno, e lo spettro che turba i sonni dello stato maggiore d’Arcore è che di qui a pochi mesi prenda corpo al Senato una possibile maggioranza alternativa, se non con tutto il gruppo grillino almeno con una sua parte.

Non è tutto. Berlusconi deve il buon risultato elettorale alla promessa di cancellare e addirittura restituire l’Imu. Il governo delle larghe intese, sua creatura, è politicamente redditizio solo se, su quel fronte, può sbandierare un successo. Un rinvio di tre mesi, come quello proposto da Enrico Letta, non sarebbe certo all’altezza delle aspettative: «Grande vittoria il blocco del pagamento dell’Imu, ma non basta», commenta l’ex premier. Solo che in realtà per il momento non ha colto neppure questa. Così, se il governo sceglierà davvero la strada “minimalista”, si tratterà di una tregua fino a settembre. «A quel punto – dice un senatore che di politica se ne intende come Augusto Minzolini – tutte le opzioni saranno aperte». Anche le elezioni.