Il giorno dopo il lungo vertice sul destino di Silvio Berlusconi tra Enrico Letta e Angelino Alfano, immediatamente definito «duro» dai protagonisti, il Pdl continua a fare la faccia feroce minacciando la crisi di governo e il Pd si mostra irremovibile dall’intenzione di votare per la decadenza del Cavaliere – condannato a quattro anni per frode fiscale (tre coperti dall’indulto) e dunque incompatibile con il parlamento per la legge «liste pulite» Severino. Alfano vola a riferire ad Arcore e prima, di passaggio al Meeting di Rimini, paragona Berlusconi a qualcuno molto in alto: «L’esempio di Cristo ci ricorda l’esigenza di un giusto processo e i limiti della giustizia popolare». Il ministro Dario Franceschini replica con piglio quasi altrettanto solenne: «Non si barattano legalità e rispetto delle regole con la durata di un governo. Mai». Letta viene subito chiamato a riferire al Quirinale dove trova un Napolitano preoccupato per la piega che sta prendendo lo scontro: il presidente teme che a furia di alzare i toni della polemica, Pd e Pdl non saranno più in grado di fermare la frana, anche volendolo. Letta spiega al presidente che la settimana prossima il Consiglio dei ministri sarà in grado di intervenire sull’Imu nella direzione auspicata dal Pdl, il che è qualcosa. Ma non basta.

Nel pomeriggio Napolitano riceve la ministra della giustizia Anna Maria Cancellieri, anche lei appena tornata dal Meeting di Comunione e Liberazione dove ha insistito sull’emergenza carceri. «La situazione è grave – ha detto la ministra – c’è molto da fare per migliorare il sistema». E soprattutto ha ribadito una sua convinzione: «Sono favorevole all’amnistia, oltre che per motivi umanitari anche perché ci darebbe l’opportunità di mettere in cantiere una riforma complessiva del sistema penitenziario». Dal Quirinale nessuna indicazione sull’esito del colloquio con la ministra Guardasigilli, se non la conferma che si è parlato «dell’emergenza carceraria e dei provvedimenti sulla giustizia all’attenzione del parlamento». Il presidente della Repubblica vuole avere un quadro preciso di tutte le carte a sua disposizione. Sulla situazione «ripugnante» delle carceri sovraffollate ha speso molte parole, un’amnistia e magari un altro indulto sarebbe più che necessari, visto che il decreto «svuota carceri» come dice anche la ministra «non ha svuotato un bel niente». Si tratterebbe però di riuscire a rovesciare la logica attualmente prevalente, secondo la quale queste misure necessarie non possono essere prese perché salverebbero Silvio Berlusconi. Perché l’amnistia e l’indulto possano essere approvate dal parlamento malgrado Berlusconi servirebbe però la difficile maggioranza dei due terzi in entrambe le camere. Sulla carta le larghe intese ci arrivano appena, al massimo della compattezza.

Napolitano con Cancellieri ha parlato anche della riforma della giustizia, che lui stesso ha sollecitato nel giorno stesso della condanna di Cassazione a Berlusconi, dando così ragione al Cavaliere che da vent’anni annuncia riforme «epocali» in materia. Di epocale però c’è poco all’ordine del giorno, anzi le cinque commissioni di studio nominate dalla ministra hanno appena cominciato a lavorare e non produrranno proposte concrete prima della fine di novembre (a guidare la commissione sul penale c’è il magistrato di «rito Ambrosiano» Giovanni Canzio, presidente della Corte d’Appello di Milano, a presiedere la commissione per il civile invece il professore Romano Vaccarella che è stato anche avvocato Fininvest). Nel frattempo l’Associazione nazionale magistrati ha deciso proprio ieri di reagire agli attacchi che il centrodestra sta portando alle toghe attraverso il Giornale e Mediaset, e denuncia «gravi offese a singoli magistrati e inaccettabili attacchi all’intero ordine giudiziario volti a screditare la magistratura».

Che Berlusconi si aspetti ancora qualcosa da Napolitano è apparso chiaro da un’intervista al settimanale Tempi che è stata diffusa ieri da Arcore. Il Cavaliere minaccia ancora la tenuta del governo e scarica le responsabilità sul Pd: «Se due uomini sono in barca e uno dei due butta l’altro a mare, di chi è la colpa se la barca sbanda». Ma ha riparametrato le sue richieste elencando tre cose che non hanno nulla a che vedere con la conservazione del posto in senato: «Non possono togliermi il diritto di parola sulla scena pubblica, il diritto di animare e guidare il movimento politico che ho fondato e il diritto di essere ancora il riferimento per milioni di italiani». Soprattutto il Cavaliere ha chiarito che non è alla ricerca del bel gesto, delle dimissioni clamorose. Piuttosto di una via d’uscita: «La Costituzione e il buon senso offrono molte strade. Se avessi voglia di sorridere – ha detto all’intervistatore di Tempi – potrei dirle che “non possono non saperlo”. Vale per tutti gli attori politici e istituzionali». A partire dal Colle più alto.

Il buon senso allora invita a leggere con attenzione le richieste pubbliche di Alfano: «Chiediamo al Pd di studiare ancora questa materia che è delicata. Chiediamo di approfondire un punto cardine del funzionamento democratico, ossia la possibilità di un cittadino eletto dal popolo di permanere nel ruolo che il popolo ha voluto egli occupasse. Chiediamo una valutazione giuridica». Non più un voto a favore, ma una lenta melina in giunta. Quanto lunga? Berlusconi nell’intervista non sembra correre verso la crisi: «Il governo nei prossimi 50 giorni deve dare una scossa».