Il Pdl ha vinto. Berlusconi ha il suo governo, con lo scudo atomico a prova di sentenze che comporta. Ma i trionfatori non sanno se essere contenti o rimpiangere l’occasione perduta. Mezzo partito spera ardentemente che la controparte, il Pd, offra un appiglio per far saltare il tavolo ancora prima che venga apparecchiato.

Non è questione di nomi, è che lo stesso Berlusconi, dietro la facciata responsabile che in termini di consenso gli ha fruttato cospicui dividendi, nell’intimo non è del tutto convinto dall’opportunità di rinviare le elezioni. Così, quando a pranzo il cavaliere riunisce i suoi, la logica che ispira la lista delle condizioni poste dal centrodestra è proprio lasciarsi uno spazio aperto per azzerare tutto e invocare il voto. Purché la responsabilità ricada sul Pd, che all’immagine di gente con la testa sulle spalle proprio non si può rinunciare.

La condizione più insidiosa è che il Pd si presenti unito all’appuntamento con il voto di fiducia. Una scissione, per il Pdl, sarebbe condizione sufficiente per dire che mancano le condizioni per un governo unitario. La principale, invece, è la conferma della cavalleresca promessa di cancellare l’Imu sulla prima casa: conditio sine qua non.

Quanto ai nomi, il Pdl ufficialmente non mette pregiudiziali, garantisce anzi il sì persino a Matteo Renzi. In realtà, se c’è un pd che Berlusconi proprio non vorrebbe vedere a palazzo Chigi è appunto il fiorentino. Da quella postazione e con capacità mediatiche ben superiori a quelle di Monti, c’è il rischio che il sindaco riesca a fare anche di questa presidenza del consiglio spuria un trampolino di lancio. L’ultima parola sulla data delle elezioni, che oggi spetta a Berlusconi, finirebbe inoltre dritta dritta nella mani del rottamatore.

Non ci fosse san Giorgio Napolitano, la spinta per candidare l’imberbe seminerebbe il panico. Ma per fortuna il santo protettore c’è: tutti convinti che ad ammazzare il draghetto toscano ci penserà lui.
Anche Amato risulta molto meno apprezzato del supposto. «Quel nome – spiegano dalla cerchia stretta del gran capo – si porta dietro profumo di tasse. Noi abbiamo recuperato proprio grazie alla campagna elettorale contro il cappio fiscale: Amato va in direzione opposta». L’ex consigliere di Craxi, in realtà, fa gola soprattutto ai falchi che al solo sentirlo nominare non vedono l’ora di correre alle urne. E per il Pd sarebbe benzina sul fuoco, governo col Pdl senza neanche il premio di consolazione di palazzo Chigi.

Il nome davvero preferito è quello di sempre, Enrico Letta. Vuol dire governo politico, massimo coinvolgimento diretto del Pd ma senza la minaccia che rappresenterebbe Renzi, rientro a spron battuto della Lega, che Amato proprio non lo digerisce. Poi, tempo due anni, il premier pd di un governo che la base pd non avrebbe mai voluto vedere finirà per sottrarre al suo partito tanti di quei voti da garantire una vecchiaia più che serena al Cavalier Berlusconi.