Se lo aspettava, ma la rabbia esplode lo stesso. L’iscrizione di Silvio Berlusconi (e di Ghedini, e di Longo) nel registro degli indagati per il cosiddetto Ruby-ter, la corruzione dei testimoni nel processo Ruby, era attesa e prevista. Ma quando arriva davvero l’indagato numero uno apre il fuoco: «Forza Italia compie vent’anni e sono stati vent’anni di guerra con una magistratura che non ha mai smesso di coltivare il disegno di commissariare la volontà degli elettori. Per aver spezzato questo disegno io sono diventato il male assoluto. Ma resto in campo, convinto più che mai di dover combattere fino alla fine».

Dopo il capo, mitragliano uno dopo l’altro tutti gli ufficiali di Forza Italia, ma ben attenti a non esagerare. Nessuno, dal Cavaliere in giù, mette in discussione, neppure alla lontanissima, il «patto costituente» stretto con Matteo Renzi. Se qualcuno lo nomina, come Raffaele Fitto, lo fa casomai per denunciare la «mossa a orologeria», una tempistica dell’iscrizione tra gli indagati studiata apposta per far saltare il «processo riformatore». Non è così: la mossa della procura di Milano sarebbe arrivata comunque ieri, con o senza patto costituente.

Se Il cavaliere tiene i nervi sotto controllo, il Pd non è da meno. Nessuno, neppure dagli spalti della minoranza, si azzarda a criticare il padre costituente per un affondo contro i giudici che, appena pochi mesi fa, sarebbe stato bersagliato come inaccettabile, ai confini dell’eversione. I tempi cambiano.

A rimettere in discussione l’accordo sulla legge elettorale, il di nuovo capo assoluto della destra italiana non pensa. Al contrario, apre spiragli anche a eventuali modifiche. Il forzista Francesco Paolo Sisto, presidente della prima omissione della camera e relatore sulla legge elettorale, lo dice senza perifrasi: «Di blindato in parlamento non c’è mai niente. C’è un testo base che racchiude un progetto di massima accurato, ma sempre soggetto a tutti gli aggiustamenti che commissione e parlamento vorranno apportare».

In concreto significa che su almeno uno tra i vari punti che i partiti minori e la minoranza Pd vorrebbero modificare Forza Italia non esclude l’accomodamento: l’eventuale abbassamento della soglia di sbarramento per i partiti coalizzati dal 5 al 4%. Sugli altri due fronti caldi, le preferenze e l’innalzamento della soglia per accedere al premio di maggioranza, Berlusconi resta invece determinato a non mollare di un millimetro. Soprattutto sul secondo, perché alzare la soglia vorrebbe dire «passare da un turno unico con ballottaggio eventuale al doppio turno conclamato».

Sulla carta, dunque, il rischio che una o l’altra camera apporti alla legge modifiche tali da renderla inaccettabile per il socio contraente azzurro ci sta tutto. Denis Verdini, regista nemmeno troppo occulto della liaison con Renzi, è però ottimista. Con i dubbiosi si è lanciato in una previsione rosea: «Nel Pd non succederà niente: saliranno tutti sul carro del vincitore». Potrebbe avere ragione, ma la tentazione di far saltare il tavolo per andare alle elezioni subito, col proporzionale, potrebbe lo stesso rivelarsi forte tra i deputati, e ancor di più tra i senatori, di ogni banda. Lo si vedrà presto.

Il vaticinio non incide comunque sulla determinazione di Berlusconi. Se anche l’accordo franasse, sarebbe Renzi a chiamare le elezioni subito e lui, Silvio il saggio, ci farebbe comunque un figurone. Un voto proporzionale, poi, garantirebbe comunque al suo partito una postazione determinante. Inoltre, il ritorno al centro della scena gli ha dischiuso orizzonti speranzosi e rosei. Ha chiesto ai suoi di riaprire, con la dovuta discrezione e diplomazia, le trattative col Colle in vista di una possibile grazia. Spera nell’Europa. Secondo una indiscrezione raccolta dall’Huffington Post si prepara a invadere le librerie con un libro il cui titolo è esaustivo: La mia verità.

La partita, per il signore d’Arcore, è ancora lunga e piena di insidie. Ma l’uomo sente di essere di nuovo al centro della scena. Non ha intenzione di bruciare le carte vincenti per cedere a un momento d’ira.