Una stagione molto densa quella del Metastasio quest’anno, fitta di personalità importanti, spesso neglette, della scena italiana. Uno di questi è Claudio Morganti, che da anni lavora su Wojzeck, e presenta ora una ipotetica «seconda parte» (scritta da Rita Frongia) – dal titolo Il caso W. della sua vicenda dolorosa, successiva al delitto, che Büchner non riuscì a scrivere per morte prematura. In scena va quindi il processo che condannò a morte il soldato Wojzeck, per aver ucciso la donna che amava e da cui aveva avuto una creatura, perché lei si era concessa al tamburmaggiore del reggimento. È comprensibile la sfiducia che il regista prova verso la giustizia contemporanea, ma la farsa (in senso letterale) che porta in scena il processo può far ridere qualche spettatore, ma può suonare anche leggermente stantìa ad altri. I modi della farsa «all’antica italiana» sono cambiati dai tempi della gloriosa D’Origlia-Palmi, divorati dalla comicità corriva e sgangherata del varietà televisivo attuale. Non si riesce a prescindere dal fatto che Büchner ha fatto del personaggio un grande eroe dell’ambiguità, per l’ingenuità del suo amore e per la follia che si rovesciano nell’orrendo delitto (oggi rientrerebbe nei femminicidi quotidiani). E la farsa procede stanca e, lei sì, ingenua.