Anche se la nuova destra che si aggira per l’Europa inquieta, l’attualità vi ha a che fare fino a un certo punto. Un’ossessione ha a lungo dominato il dibattito storico per poi relegarsi a gossip, prima di pervadere immaginario letterario e cinematografico. Erano proprio i corpi carbonizzati di Adolf Hitler ed Eva Braun quelli che l’Armata rossa sovietica incontrò nei pressi del bunker della Cancelleria a Berlino? Hitler e la sua compagna riuscirono a fuggire in Argentina dove vissero indisturbati per decenni, come fecero molti dirigenti e militanti nazisti?
Lo scrittore e giornalista Marco Ferrari, prima firma dagli anni settanta l’Unità, nel suo ultimo romanzo Un tango per il duce (Voland, pp. 288, euro 16), sposta i riflettori su un possibile «caso Mussolini», anch’esso immaginario, usando un artificio letterario: e se i cadaveri appesi brutalmente a piazzale Loreto non fossero stati quelli del duce e della sua compagna Claretta Petacci?

E SE A ESSERE CATTURATO dai partigiani fosse stato il suo sosia, mentre il vero duce partiva alla volta del Sudamerica con una combriccola di gerarchi nazisti e fascisti? La fertile collaborazione con il saggista recentemente scomparso Arrigo Petacco (due libri a quattro mani, Ho sparato a Garibaldi e Caporetto per Mondadori) ha lasciato a Ferrari il gusto della ricostruzione dei particolari storici.
Il racconto parte da queste ipotesi fantapolitiche per datare una «seconda vita di Benito Mussolini», partendo da un dato di realtà: dal porto di Genova – tra il 1947 e il 1951 – salparono quasi sicuramente tutti i nazisti in fuga dall’Europa (nomi importanti dal famigerato dottor Mengele a Eichmann) più alcuni gerarchi fascisti. Destinazione Sudamerica.

Arrivato nel nuovo continente attraverso la «ratline» (la «via dei topi» usata da fascisti e nazisti), il duce va ad abitare in una località isolata della pampa argentina denominata Romagna argentina, abitata da una comunità di immigrati italiani prevalentemente provenienti dalla stessa regione di Mussolini che sa poco di quello che accade davvero nella guerra mondiale in corso. Facile nello sterminato territorio argentino lasciarsi alle spalle il passato, reinventarsi una vita e pensare a possibili vendette. Ferrari si diverte in particolare a proporci bozzetti di banale vita quotidiana di questa fauna composta da un ex duce, dalla sua compagna e da italiani nostalgici o inconsapevoli che sognano una rivincita che non verrà mai. La fantasia si sbizzarrisce a narrarci cosa sarebbe potuto accadere e cosa per fortuna non è accaduto.

Il tema di questo romanzo di Ferrari, annotazione curiosa, ha prodotto di recente per assonanze due film. Il primo, tedesco, dal titolo Lui è tornato, immagina Hitler che si risveglia a Berlino nel 2014 proprio nei pressi del bunker della Cancelleria ed è letteralmente assalito da centinaia di giovani in cerca di un selfie da fare con lui. La sceneggiatura è tratta da un romanzo del 2012 di Timur Vermes che ebbe un notevole successo.
INTORNO al fuhrer tutto è cambiato: la guerra è finita e perduta, la democrazia è stata ristabilita e a guidare la Germania c’è addirittura una donna (Angela Merkel). Eppure il fuhrer piace e non poco. Il secondo film è Sono tornato, diretto da Luca Miniero, versione italiana della stessa idea di Lui è tornato. Mussolini riappare in piazza Vittorio nella Roma dei giorni nostri. Il duce non apprezza lo scenario multiculturale della piazza gremita in una sorta di Chinatown, né comprende il successo dei telefonini. Assorbiti dagli schermi e persuasi che si tratti dell’ennesima attrazione per turisti, i passanti continuano a ignorarlo finché un giovane documentarista dotato di fiuto di giornalista, credendolo un attore comico, gli propone di lavorare con lui. Il Mussolini risorto proverà a riconquistare le masse con la sua arte affabulatoria.
Per fortuna, sia nel racconto di Ferrari e sia nei due film, siamo sempre nel campo delle fiction, delle macabre o divertite fughe dell’immaginario.