Igor Markov, l’ucraino filorusso con doppio passaporto, recentemente arrestato a Sanremo, ha rifiutato l’estradizione dall’Italia all’Ucraina, ma si è visto confermato il carcere dal tribunale di Genova. Ora Kiev ha 40 giorni per presentare le motivazioni dell’estradizione, poi sarà compito del tribunale esaminare gli atti e decidere.

Il pm Enrico Zucca (lo stesso del processo per l’irruzione dei poliziotti alla scuola Diaz di Genova nel luglio del 2001) ha fatto intendere che i rapporti tra Ucraina e Italia sono da considerarsi buoni. L’enigmatico Markov ha specificato a più riprese che se dovesse essere consegnato alle autorità di Kiev, rischierebbe la morte, in quanto nemico politico del governo in carica (e dei clan che gestiscono attualmente il potere).

Nel frattempo non si sono apprese novità sui teorici incontri che Markov avrebbe dovuto avere in Italia. Il diretto interessato, in varie dichiarazioni, ha detto di dover incontrare qualche politico, poi degli imprenditori e infine di essere a Sanremo per una vacanza.

Per quanto riguarda la sua possibile estradizione, è bene ricordare alcuni aspetti: in primo luogo le accuse nei suoi confronti risalgono ad un evento del 2007. Sembra una trama di un romanzo di Prilepin ma è tutto vero: Markov all’epoca sarebbe intervenuto contro una manifestazione dei neonazisti di Svoboda, a sua volta organizzata contro l’inaugurazione a Odessa di una statua di Caterina II, imperatrice russa e fondatrice della città. Markov avrebbe colpito con un tirapugni un ex parlamentare, ferendolo al labbro. Arrestato, viene rilasciato poco dopo.

Sembra tutto finito. Nel frattempo diventa deputato del Partito delle regioni di Yanukovich. Ma ben presto Markov comincia a criticare anche Yanukovich, accusato di tradire la relazione con la Russia, per una vicinanza con l’Ue. Il paradosso è che la stampa ucraina su posizioni filorusse, utilizza le invettive di Markov per accusare Yanukovich (che verrà cacciato perché «filorusso») di essere favorevole ai gruppi di estrema destra. Yanukovich a quel punto ritira fuori la vicenda del 2007 e Markov torna in carcere. Poi arrivano la Majdan e la fuga di Yanukovich.
I cosiddetti prigionieri politici sono rilasciati.

Negli stessi giorni vengono liberati Markov e la più nota Tymoshenko (che chiamerà Markov per complimentarsi per la sua liberazione). A quel punto Markov diventa nemico del nuovo corso di Kiev, gestito da Poroshenko in politica estera e dai gruppetti di neonazi in politica interna. E la storia di Odessa viene nuovamente tirata fuori, tanto da far scattare l’intervento della Criminalpol.

Il secondo aspetto di tutta la vicenda è collegato alla seguente domanda: quali garanzie, in termini di diritti umani, possono esserci in questo momento in Ucraina, paese in difficoltà economica e politica, che recentemente ha riabilitato il suo passato più fosco e collaborazionista, dando in appalto il sistema della sicurezza ai leader di Settore Destro, assembramento dichiaratamente neonazista? È un paese che da un punto di vista «democratico», può dirsi con le carte in regola?

C’è dunque da fare qualche considerazione, al di là dei rapporti tra Roma e Kiev. Se è vero che nelle valutazioni sull’estradizione un tribunale italiano può anche ignorare la situazione attuale del paese (come da sentenza della Corte di cassazione nel luglio del 2014) è anche vero che possono essere – invece – tenute in considerazione «informazioni mediate che possono rientrare nel concetto di fatto notorio».

Tuttavia, fa notare la professoressa di diritto internazionale Marina Castellaneta, «i documenti indicati a supporto del no all’estradizione devono essere del tutto attendibili e non generici, oltre a dover essere basati su fatti».

Quindi, fatta l’ennesima tara sull’ambiguità del personaggio Markov (i cui rapporti con businessmen non meglio identificati sono ancora tutto da chiarire), è pur vero che l’Ucraina non ha certo brillato per il suo stato di diritto negli ultimi tempi, dimostrando di non essere in grado di condurre inchieste indipendenti su fatti tragici e coinvolgenti le opposizioni, come dimostra proprio la strage di Odessa quando il 2 maggio 2014, a morire furono almeno 50 persone, attaccate dai gruppi di estrema destra.