A un mese dai fatti è una sola la verità accertata nell’omicidio del piccolo Loris Stival. Il bambino è stato strangolato, non c’è stata nessuna violenza sessuale. Anche se da quando ne è stato scoperto il corpo, lo scorso 29 novembre, l’abuso sessuale è stato invece dato per certo, addirittura abituale, si è scritto e detto nelle morbose attenzioni dei media. La polizia di Ragusa ha chiuso questo capitolo. Altro fatto certo è che l’unica accusata è la madre Veronica Panarello, rinchiusa in un carcere da cui non è potuta uscire per partecipare i funerali del figlio, da cui proclama a gran voce la propria innocenza.

Deve sormontare un pesante giudizio espresso contro di lei, l’«indole malvagia», che le ha attribuito il giudice delle indagini preliminari di Ragusa, Giuseppe Maggioni, per tenerla in carcere. Lei è l’unica indiziata, intrappolata da patenti bugie, svelate dalla rete di occhi elettronici che avviluppano il territorio di Santa Croce Camerina, il paese in provincia di Ragusa in cui si è consumato il delitto. Accusata dagli atroci commenti che la sua famiglia – prima di tutto madre, nonna, sorella, ma anche marito e suocero – si scambia per telefono, puntualmente intercettati. Un quadro in continuo mutamento, come capita nelle famiglie. Ora la sorella le chiede perdono delle cattiverie dette, mentre il padre dice di credere in lei, e il marito David mostra la sua fragilità, in cerca di una verità per non impazzire.

Ma non è dell’indagine che interessa parlare. Anche se vale la pena notare, in un tributo alla diffusa passione per le crime scene, che la mole di indizi oggettivi e tecnologici va come sempre a scapito del movente. Che è quello che manca. Perché questa madre avrebbe dovuto uccidere il suo bambino, verso il quale non risulta che avesse speciali insofferenze? Almeno la madre di lei – con quella tremenda uscita «l’ha ammazzato perché mi odia. Loris mi assomigliava troppo», ha fornito qualche elemento per ricostruire una dinamica, una storia. Che non sembra interessare a nessuno di chi ha già giudicato.

Eppure va considerata questa violenza, una violenza che emerge dall’interno di una famiglia. Assomiglia a qualcosa già visto nell’omicidio di Sarah Scazzi ad Avetrana. Esempi di brutalità e ferocia nelle relazioni famigliari che non sono sorprendenti in sé, ma per l’assoluta mancanza di reciproca copertura, rispetto al mondo.

Una mescolanza crudele di arcaismi e contemporaneità. È contemporanea la storia della madre di Veronica, che ha avuto cinque figli da tre uomini diversi, è contemporanea e tragica la storia della ragazza, che ha scoperto nel corso di una lite con la madre che il padre non era quello che l’aveva cresciuta. E poi i tentati suicidi, l’essere diventata madre giovanissima, con un ragazzo che la ama molto. Una sovrapposizione di antico e nuovo,in una comunità paesana che tutto osserva e nulla perdona, che dice molto della natura complessa, poco indagata, delle arretratezze e dei cambiamenti in cui siamo immersi.

Tutto questo non giustifica, è chiaro, l’assassinio di un figlio, e neppure un’eventuale complicità passiva, se questa fosse la trama che verrà rivelata. Ma non giustifica neppure, ai miei occhi, l’accanimento che si è abbattuto su questa giovane donna. La madre cattiva fa orrore, bisogna constatare, ben di più di qualunque Barbablù, di omicidi plurimi di donne e bambini. A loro i cronisti e il sistema mediatico concedono tuttora il pietoso «ha perso il controllo». A Veronica no. È stata inchiodata alle sue menzogne. E tanto basta.

Parliamone, allora delle madri cattive, delle madri omicide, così difficili da pensare, in Italia, dove meno le donne fanno figli, più la maternità viene idealizzata. E diventa un’ideale di perfezione difficilmente raggiungibile, per chi ha una vita complicata come succede alle donne oggi.

Come se non si potesse dire che anche le madri amorose, la tua mamma o tu stessa – se sei madre – in qualche momento le hai odiate o le odi – le tue creature. Forse gli italiani sono stati traumatizzati da Annamaria Franzoni. La casa di Cogne, il modellino brandito nello studio televisivo di Vespa, sono stati la perdita dell’innocenza. Una verità sconvolgente: anche le mamme sono malvagie, per usare la parola che ha scelto il gip. La fine di un’illusione, nel cui nome bisogna punire, ben oltre il dispositivo giudiziario, la disgraziata che ne è responsabile? Forse non è un caso la nazionalità inglese di Donald Winnicott, lo psicoanalista che, per lo sviluppo positivo di un bambino, ritiene bastevole che le mamme siano «sufficientemente buone». Noi no, le vogliamo perfette.

Loris, il bambino così crudelmente ucciso, mi suscita un’infinita compassione. Come tutti i suoi cari. Anche sua madre. Non penso che non debba essere giudicata, se trovata colpevole al di là di ogni dubbio. Neppure mi sento autorizzata a scagliare la prima pietra.