Ci mancava ancora questa, per gettare discredito sulle istituzioni di Bruxelles. Dai documenti consultati dal Consorzio Internazionale dei giornalisti di inchiesta, risulta che Neelie Kroes, che è stata commissaria per 10 anni (2004-2014) durante i due mandati di José Manuel Barroso – e per di più nel posto-chiave e importante della Concorrenza dal 2004 al 2009 – contemporaneamente era anche direttrice di Mint Hondings Limited, una società finanziaria con sede nel paradiso fiscale delle Bahamas.
Neelie Kroes, olandese, che è stata anche ministra nel suo paese, ha esordito negando tutto.

Poi ha ammesso, poco per volta: ha parlato di «semplice omissione», di un «errore amministrativo» che non l’ha cancellata dall’organico della Mint, una carica che del resto «non è mai stata operativa» e sarebbe cessata nel 2002. Ma Kroes non si è mai sognata di rivelare questo incarico, come vuole la dichiarazione di interessi obbligatoria prima di accedere al ruolo di Commissario. Il codice di condotta impone di dichiarare tutte le funzioni ricoperte negli ultimi dieci anni e proibisce «di esercitare ogni altra attività professionale, remunerata o no». La Mint Holdings era interessata ad acquisire partecipazioni in Enron, gigante statunitense dell’energia, poi fallito nel 2001. Gli acquirenti erano gli Emirati arabi uniti e l’Arabia saudita, che avevano progettato un investimento intorno ai 6 miliardi di dollari.

Kroes, quando era alla Concorrenza, si era distinta per l’entusiasmo messo nello spingere alla liberalizzazione del mercato dell’energia, in particolare del gas (core business di Enron, e anche degli Emirati). Neelie Kroes, che oggi ha 75 anni, non si è fatta mancare nulla: è stata nei consigli di amministrazione di grandi società, con gettone di presenza, mentre era commissaria (Volvo, Thales ecc.), e malgrado l’età è ancora consulente della Merrill Lynch ed è persino nel consiglio di amministrazione di Uber.
Il caso Kroes arriva dopo lo scandalo Barroso. L’ex presidente della Commissione è stato reclutato da Goldman Sachs (la banca che ha aiutato la Grecia a falsare i conti per entrare nell’euro), come consigliere nell’ambito del Brexit.

La Commissione Juncker, che non è direttamente implicata, resta con le mani in mano. Barroso, formalmente, ha rispettato i 18 mesi del cosiddetto cooling off period, un’astinenza dagli affari finita con il contratto con Goldman Sachs. Juncker attiverà il comitato etico e cercherà almeno di bloccare l’erogazione delle laute pensioni di cui godono questi ex di Bruxelles, passati nella finanza privata? La mediatrice europea, Emily O’Reilly, ha chiesto un esame del caso Barroso.
La sfiducia degli europei verso le istituzioni di Bruxelles è in netta crescita e alimenta derive politiche pericolose, alimentate dall’immagine di istituzioni più vicine alla finanza che ai cittadini. Ci sono già stati segnali preoccupanti, il voto olandese (consultivo) contro l’accordo Ue-Ucraina, il Brexit, il 2 ottobre c’è il referendum in Ungheria sulle quote di profughi. In molti paesi elezione dopo elezione l’estrema destra è in aumento.

Contemporaneamente, Bruxelles affonda nella crisi morale. Difatti, non ci sono solo gli scandali Barroso e Kroes. Tra i 26 commissari della seconda Commissione Barroso (2009-2014), 9 si sono sistemati nelle direzioni di multinazionali. A nessuno è stato chiesto di rinunciare almeno alla pensione. Nellie Kroes, che quando era alla Concorrenza non smetteva di ingiungere ai cittadini di pagare le tasse, era nel consiglio di amministrazione di Mint Holdings, società basata nella Bahamas, ex colonia britannica indipendente dal ’73, che ha 300mila abitanti e ospita 230 sedi di banche e trust, 130 compagnie di assicurazione, 700 fondi di investimento e 40mila società offshore.