C’è stato un «fattore Gentiloni» nelle urne romane, la parte maggioritaria della legge elettorale sembra aver funzionato solo per lui. Un’alta percentuale di elettori del collegio Trionfale ha scelto di tracciare il segno solo sul suo nome e su nessun simbolo delle quattro liste che lo sostenevano, Pd compreso. Niente del genere è successo per gli altri candidati, né nei dieci collegi uninominali del Lazio che sono ancora aperti e dove dunque il Viminale non ha provveduto a distribuire alle liste (in proporzione) i voti espressi solo per l’uninominale, né altrove.

Gentiloni ha raccolto 48.243 voti dei quali ben 7.806 solo sul suo nome. Vale a dire il 16,2% di consensi è stato diretto sulla sua persona. Negli altri tre collegi uninominali della città conquistati dal centrosinistra la percentuale di voti solo al candidato è assai più bassa, dal 3,3% per Madia a Montesacro al 2,74% di Magi a Gianicolense al 2,66% di Prestipino all’Ardeatino. Non solo, i numeri di Gentiloni risaltano anche nel confronto con i vincitori grillini nei collegi romani. La performance migliore è quella di Carelli che per il M5S ha vinto la sfida a Fiumicino: per lui i voti esclusivi si sono fermati al 5,4%. La dimensione del consenso diretto ed esclusivo su Gentiloni è tale da evidenziare un fenomeno, tanto più se si pensa che nella scheda lo spazio per il candidato all’uninominale era assai più piccolo di quello della lista, dunque si tratta di scelte ragionate. In qualche modo suggerite dalla stesso presidente del Consiglio, che nella lettera che ha spedito a casa degli elettori romani a fine febbraio ha accluso un facsimile dove ha invitato a mettere la croce solo sul suo nome (e non sul simbolo del Pd).

Se si confronta Gentiloni con altri due leader del Pd, uno vincente e uno perdente, si ha la prova definitiva che il suo 16,2% di voti esclusivi non può essere casuale. Matteo Renzi al senato a Firenze ha raccolto poco più di 4mila voti esclusivi su 85mila, il 5%. Marco Minniti a Pesaro il 3%. Grazie ai trucchi del Rosatellum, gran parte dei 7.806 voti esclusivamente di Gentiloni sono finiti comunque al Pd, il 75% circa, eppure questa tendenza degli elettori romani ha sottratto ai democratici oltre duemila voti per la parte proporzionale (mezzo punto percentuale nel collegio).

Un altro aspetto delicato nell’applicazione del Rosatellum riguarda invece lo slittamento dei seggi assegnati con il proporzionale. Com’è noto sono 386 e sono stati divisi dal decreto del presidente della Repubblica del 28 dicembre 2017 in 63 collegi plurinominali. Il numero dei seggi della camera assegnato a ogni collegio, variabile da quattro a otto con l’eccezione del Molise, era stato definito da una commissione statistica sulla base della popolazione residente. In modo da garantire una rappresentanza paritaria a ogni territorio: (tot abitanti – tot deputati). Ma nel Rosatellum, in previsione del flipper tra liste «eccedentarie» e «deficitarie», era stata inserita anche una clausola per la quale, per esigenze di calcolo, sarebbe stato possibile derogare a questa distribuzione omogenea, spostando qualche seggio e dunque qualche deputato da un territorio a un altro. A conti fatti, nell’assegnazione che ha fatto il Viminale (non ufficiale), non si è trattato di eccezioni: i seggi sono stati ritoccati in 33 collegi plurinominali su 63. Con buona pace della commissione statistica e anche del decreto presidenziale, gli eletti sono saltati da una provincia all’altra. Così, ad esempio, dal collegio plurinominale a nord di Napoli sono usciti 10 deputati eletti al proporzionale per 918mila elettori. E nel collegio plurinominale di Napoli città 5 deputati per 746mila elettori. Morale: nel primo caso un deputato rappresenta 91mila elettori, nel secondo ben 149mila.