Jeffrey Epstein, il miliardario suicida in carcere il 10 agosto dopo il coinvolgimento in un’inchiesta su un giro di prostituzione minorile, aveva molte amicizie nel mondo scientifico, come mostra la lunga lista di scienziati finanziati dal miliardario. Fondi, è bene chiarirlo, arrivati anche dopo il 2008, quando i suoi abusi su ragazze minorenni erano già sanciti da una prima condanna. Lo scandalo investe la comunità scientifica statunitense ai massimi livelli.

PER MOLTI RICERCATORI Epstein era diventato una sorta di mecenate, forse per una rivalsa intellettuale conquistata a suon di milioni. Epstein aveva studiato matematica alla New York University (senza laurearsi) e insegnato alla Dalton School, il liceo della Manhattan bene. Ma andava alle feste dei suoi studenti, e nel giro di due anni fu licenziato. Si consolò con una luminosa carriera a Wall Street ma le antiche passioni, inclusa quella per la scienza, non erano mai svanite. Nel suo resort alle isole Vergini ospitava conferenze di fisica. Partecipavano scienziati di prim’ordine come Stephen Hawking – oltre a stuoli di ragazzine sbarcati dal suo jet, il famigerato «Lolita Express».

Jeffrey Epstein

 

 

 

I registri del fisco compulsati dal sito Buzzfeed (lo stesso del Russiagate leghista) raccontano i flussi di denaro che dai conti di Epstein portano alle più prestigiose istituzioni scientifiche nordamericane, dall’università di Harvard all’ospedale dei vip, il Mount Sinai di New York.

L’istituzione più coinvolta è però il Mit di Boston e in particolare il suo Media Lab. fondato da Nicholas Negroponte nel 1985. Il Lab è una sorta di università nell’università. Con una ventina di gruppi di ricerca attivi e un budget di 75 milioni di dollari, il laboratorio esplora le tecnologie dell’informazione, dall’intelligenza artificiale alla bionica, dalla bioetica dei robot ai social media: una fucina di invenzioni in cui convivono visioni new age, prodotti commerciali e progetti militari. Molte delle tecnologie che usiamo ogni giorno sono passate dal Mit Media Lab.

Oggi settantacinquenne, Negroponte è stato uno degli uomini più influenti della cultura digitale negli ultimi decenni. Oltre a dirigere per vent’anni il Media Lab, è stato uno dei creatori della rivista Wired (la «Bibbia di Internet»), ha avviato una trentina di start-up, ha fatto parte di consigli di amministrazione di società quotate e ha lanciato l’iniziativa «One laptop per child», con l’obiettivo (fallito) di regalare computer low-cost ai bambini dei paesi in via di sviluppo.

L’ATTUALE DIRETTORE del Media Lab si chiama Joichi Ito. Sotto la sua direzione il Media Lab ha accettato finanziamenti per 800mila dollari dal pedofilo miliardario (altrettanti sono andati alle società gestite da Ito). La sua posizione oggi traballa sotto una pioggia di critiche. Mercoledì 4 settembre, lo stesso Ito ha convocato una tesissima assemblea del Media Lab per avviare «un processo di dialogo e di riparazione». Per dare un’idea del clima, la riunione è iniziata con un esercizio collettivo di respirazione, nello spirito fricchettone del Media Lab, ma è finita con la ricercatrice Kate Darling che urlava «Nicholas, taci!» nientemento che a Negroponte, che rivendicava di aver dato del tu all’80% dei miliardari americani e di aver suggerito a Ito di accettare quei soldi. «Rifiutereste i soldi di Koch, o di Huawei?» ha chiesto, provocatoriamente ma non troppo, all’assemblea.

NON TUTTI GLI SCIENZIATI, però, hanno la stessa arroganza. Il primo a chiedere scusa per i rapporti con Epstein è stato, a sorpresa, George Church, altro enfant terrible della ricerca statunitense. 65 anni e professore a Harvard, Church è uno dei maggiori biotecnologi al mondo. È stato il protagonista del Progetto Genoma Umano e uno dei pionieri della tecnica di modifica genetica Crispr che sta rivoluzionando la biotecnologia. Ha posizioni spregiudicate in materia bioetica: non esclude di modificare gli embrioni, vorrebbe de-estinguere i mammut, studia come manipolare l’attività neuronale e, avendo fondato 22 start-up, ha un rapporto piuttosto disinvolto con il mondo degli affari.

Church a intrattenuto rapporti con Epstein fino al 2014 ma dopo la condanna del 2008 non ha più avuto un dollaro. Eppure, è stato il primo scienziato a rendersi conto che dire «pecunia non olet» non basta. Chiedendo scusa per la sua «scarsa consapevolezza e capacità di valutazione», ha ammesso che «gli scienziati sono vulnerabili come tutti alle lusinghe del potere: se un miliardario è curioso per le tue ricerche, ti senti fico». Sul gran numero di scienziati in buoni rapporti con Epstein, ha detto alla rivista StatNews: «non si sono resi conto dell’enormità dei suoi abusi», chiosando che «è l’interpretazione più generosa che riesco a dare».

Qualcuno lo ha imitato e altri lo faranno nei prossimi giorni. Oltre a Ito, Negroponte e Church, la lista degli scienziati «amici» di Epstein è lunghissima. Il matematico Martin Nowak, i fisici Lawrence Krauss e Seth Loyd, il biologo Robert Trivers sono solo alcuni dei nomi di ricercatori illustrissimi che hanno accettato finanziamenti da Epstein.

PRECISIAMO: nessuno di questi scienziati è accusato di aver partecipato agli abusi di Epstein. L’ondata di indignazione, tuttavia, suggerisce che qualcosa di profondo sta cambiando nel rapporto tra comunità scientifica e opinione pubblica. Gli scienziati non sono più giudicati solo in base ai benefici delle loro scoperte ma anche al contesto in cui si svolgono le ricerche. Chi le finanzia? Quali relazioni gerarchiche o di genere si instaurano? Chi potrà godere dei benefici delle scoperte? Sono domande a cui ogni scienziato deve saper rispondere, se vuole riguadagnare la credibilità che gli esperti sembrano aver perso per sempre.

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QUANDO IL NUMERO ODIERNO del manifesto era già stato chiuso, Joichi Ito ha rassegnato le dimissioni dal ruolo di direttore del Mit Media Lab e di docente del Mit in seguito allo scandalo legato ai finanziamenti ricevuti dal miliardario Jeffrey Epstein.