Lo scorso fine settimana, una visita ad uno dei molti multisala operativi in Giappone, dava un colpo d’occhio inusuale per questo 2020. Entrate e biglietterie erano infatti animate ed affollate – con tutte le distanze e precauzioni del caso naturalmente – da una variegata massa di persone, per lo più composta da generazioni sotto i trent’anni. Giovani coppie, studenti di scuole elementari o universitari erano quasi tutti lì per vedere Kimetsu no yaiba movie: mugen ressha-hen (Demon Slayer il film: saga del treno dell’infinito).

ERA QUINDI nell’aria che il lungometraggio, uscito nelle sale il sedici ottobre, avrebbe ottenuto dei buoni risultati al botteghino, ma pochi si sarebbero immaginati l’incredibile successo che poi ha avuto, superando ogni più rosea aspettativa. Il film infatti, nel weekend lungo della scorsa settimana – venerdì, sabato e domenica – è stato il lungometraggio più visto non solo nell’arcipelago, ma in tutto il mondo, anche a causa (o grazie) alla chiusura dei cinema negli Stati Uniti ed in altri grandi mercati. Quasi tre milioni e mezzo di biglietti staccati per un incasso di circa 37 milioni di euro ed è bene ricordare come la capienza delle sale sia, causa Covid-19, ridotta rispetto al solito: fra un posto e l’altro è obbligatorio lasciarne uno vuoto.

Prodotto dagli studi Aniplex, Shueisha e Ufotable, il lungometraggio porta sul grande schermo i personaggi creati da Koyoharu Gotoge con l’omonimo manga serializzato su rivista a partire dal 2016, e rappresenta il sequel della serie animata. Ambientato nel periodo Taisho, Demon Slayer – Kimetsu no yaiba, narra le vicende di un ragazzo che, dal giorno in cui la sua famiglia viene massacrata, diventa un cacciatore di demoni.
Questo exploit è il risultato di molti fattori, naturalmente l’enorme popolarità del manga, ma anche il successo della serie animata, trasmessa in questi mesi su quasi tutte le piattaforme streaming, che ha fatto da traino e allargato il bacino di udienza del fumetto, facendo appassionare alla storia del giovane ammazza demoni una fetta più ampia di pubblico.

FIN QUI PERÒ niente di nuovo: franchise di questo tipo e con una pianificazione simile nascono quasi a cadenza regolare nel Sol Levante. Ciò che questa volta è diverso ed unico sono le condizioni in cui questa corsa verso le sale si è sviluppata. I cinema giapponesi, e parliamo qui delle grandi catene, sono di fatto stati chiusi a causa della pandemia solo per un periodo di circa un mese, in primavera. Dopodiché sono stati riaperti, ma sia l’assenza di film da distribuire – per un periodo sono stati proiettati quattro lavori «classici» targati Studio Ghibli – sia una certa prudenza, se non paura, a frequentare luoghi chiusi con molte persone all’interno, hanno trasformato i mesi estivi in una sorta di limbo. Non è inutile ricordare come l’estate sia uno dei periodi più fruttuosi per il cinema d’intrattenimento giapponese: tutti i lungometraggi animati targati Ghibli, o quelli diretti da Makoto Shinkai o Mamoru Hosoda, ad esempio, vengono solitamente fatti uscire fra luglio ed agosto. Questo digiuno forzato da parte del pubblico di appassionati e delle famiglie, deve aver contato non poco nel successo di Demon Slayer.

LA PANDEMIA non è passata, anzi, ogni giorno si registrano nuovi contagi a fronte di test fatti con il contagocce, ma ciò che è cambiato è l’approccio verso questa nuova normalità da parte della maggior parte degli abitanti dell’arcipelago. Al momento non si hanno i picchi di diffusione del virus di qualche mese fa – la situazione, è bene ripeterlo, non è comunque rosea – ma sta emergendo sempre di più un senso di accettazione e di pragmatica convivenza con i pericoli causati dal virus e con tutti i cambiamenti che questi portano nella vita quotidiana.