A gennaio, dopo una dura campagna mediatica, il sociologo urbano Andrej Holm si è dimesso su richiesta del sindaco Michael Müller dalla carica di sottosegretario per le politiche dell’abitare dell’amministrazione di Berlino, cui era stato designato dalla Linke. Il motivo ufficiale: aver taciuto il suo passato nella Stasi, la polizia politica della Germania est. Il mese precedente la Spd, il partito del sindaco, aveva chiamato in causa l’Università Humboldt, datore di lavoro del sociologo, perché decidesse della credibilità di Holm, rimettendo una decisione politica all’istituzione accademica. Poi però Müller aveva chiesto le dimissioni del sociologo prima che l’Università si pronunciasse. E tre giorni dopo seguiva comunque il licenziamento di Holm da parte dell’ateneo. La scorsa settimana, dopo un mese di proteste da parte degli studenti dell’Istituto di Scienze Sociali, la svolta inattesa: la presidentessa (equivalente a un rettore italiano) Sabine Kunst ha deciso di ritirare il licenziamento di Holm, limitandosi a dargli un ammonimento. Una scelta motivata dal fatto che Holm abbia ammesso di aver dichiarato il falso al momento del suo impiego alla Humboldt, e se ne sia sinceramente pentito. Holm ha dunque mantenuto il posto, ma la reputazione della Humboldt non ne esce intatta.
DIRITTO ALLA CASA
Il «caso Holm», qui rapidamente riassunto, è una vicenda tedesca, ma il cui significato va oltre i confini della Germania: si incrociano conflitti sugli spazi delle metropoli, uso pubblico della storia, libertà accademica di fronte ai poteri economici e politici. Holm è un sociologo scomodo poiché muove una critica radicale ai grandi investitori che danno il via a processi di «riqualificazione» urbana, che includono l’aumento sproporzionato degli affitti. Dall’inizio della crisi finanziaria globale nel 2008, il mercato immobiliare berlinese, fino ad allora sottovalutato per motivi storici legati alla divisione della città, è diventato uno dei porti sicuri per il capitale globale. In una città abitata all’85% da affittuari, l’aumento drammatico degli affitti provocato dagli investimenti e dall’incapacità della politica di porvi un freno, ha causato l’espulsione di fasce di popolazione che da lungo tempo abitano in quartieri centrali ma tendenzialmente più poveri. Il caso Holm si sviluppa in un clima politico polarizzato: da una parte le lobby immobiliari coese nell’ostacolare ogni cambiamento sostanziale delle dinamiche di accumulazione di capitale già in atto, dall’altra le molteplici iniziative locali, sul piede di guerra da anni per reclamare il proprio diritto alla città e alla casa.
NATURA POLITICA
Apparentemente, il licenziamento del sociologo con tutto ciò non c’entrava nulla: di fronte agli studenti che chiedevano spiegazioni, occupando la facoltà in cui Holm lavorava, la presidentessa dell’Università, vicina alla Spd, dichiarava di aver preso una decisione centrata solamente sul rapporto lavorativo di Holm con l’ateneo. Tuttavia, basta leggere le argomentazioni ufficiali sul sito dell’università per rendersi conto che aveva natura fortemente politica. La Humboldt era chiamata a verificare se Holm, al momento della firma del contratto nel 2005, avesse indicato di essere stato impiegato alla Stasi. Tutti i cittadini della ex-Germania dell’Est che intendano prestare servizio pubblico devono, ad oggi, compilare un questionario. Nel questionario (del quale non esiste un modello standard per tutto il paese) vanno indicate eventuali passate attività nella Stasi. Holm, la cui famiglia era vicina al regime, prestò il servizio di leva, per appena 5 mesi, presso un reggimento della polizia politica. Nel 2007, in una lunga intervista, aveva reso pubblica la propria esperienza, chiedendo scusa e iniziando a confrontarsi criticamente col proprio passato.
UNA CROCE
Anche nel 2005, Holm aveva dichiarato il suo coinvolgimento alla Stasi, ma non come impiegato ufficiale. Riportò solo ciò che si ricordava, venendo però smentito da atti ricavati a gennaio negli archivi della Stasi. É su una croce nel questionario che si è incentrata la campagna politico-mediatica negli ultimi tre mesi, trasformandola nell’unico criterio «di verità» in base al quale non solo la politica ma soprattutto l’Università hanno colpito Holm.
Una decisione accademica avrebbe dato rilevanza e considerazione all’attività di ricerca e produzione scientifica che Holm ha portato avanti negli ultimi 20 anni. Le sue tesi hanno un ruolo importante nel dibattito europeo sui processi di gentrificazione e i risultati della sua ricerca hanno contribuito a costruire una conoscenza critica che unisce teoria e prassi. Nel giustificare il licenziamento, la presidentessa Kunst si era in effetti premurata di confermare l’importanza del sociologo per l’università. Tuttavia, aveva ritenuto che i 20 anni di eccellente lavoro scientifico finissero in secondo piano rispetto ad una ’x’ apposta da Holm 12 anni fa in un questionario. Soprattutto, anziché distanziarsi dalla politica, che aveva già preso una decisione, e trattare la questione coi tempi e i criteri necessari al proprio interno, l’Università si è piegata ai tempi del dibattito mediatico, ha adottato le stesse argomentazioni dei politici, attuando di fatto una scelta politica, senza arte («Kunst» in tedesco vuol dire arte) ma di parte.
LA RIUNIFICAZIONE
Qui emerge l’altra questione di cui Holm è diventato il simbolo, e che va oltre le critiche alle attuali politiche abitative, cioè lo spinoso passato della Germania divisa, nonché la sua riunificazione, che va forse meglio compresa come una conquista dell’Ovest sull’Est filosovietico. Nella nostra esperienza di ricercatrici a Berlino e in Brandeburgo, è facile imbattersi in commenti del tipo: «Da quando hanno vinto i Wessis (i tedeschi dell’Ovest, ndr), qui nell’Est ci hanno preso tutto!». Episodi di questo tipo non sono rari, e si tratta di percezioni individuali basate anche su aspetti strutturali: ad esempio, gli stipendi di chi lavora nella ex Ddr sono più bassi che nei Länder dell’ovest.
La vicenda Holm avrebbe potuto essere l’occasione per confrontarsi con la complessità della storia tedesca, ma l’università ha aderito a una messa in scena in cui i «buoni» (ex-Germania ovest) si ergono a giudici della moralità dei «cattivi» (ex-Germania est). Argomentando solo sulla base di formalità burocratiche, l’università ha partecipato alla banalizzazione della questione. Si è implicitamente resa complice di un «dibattito» ridotto a un’opposizione tra «verità» e «menzogna», individuando un capro espiatorio per non affrontare una questione storica e dunque collettiva. Così facendo, tuttavia, la storia viene de-politicizzata, e svuotata di senso: l’iniziale licenziamento di Holm si allineava alla campagna condotta da giornali e politica, contribuendo a spostare il dibattito dalla questione dell’esplosione degli affitti e dei problemi sociali a un passato scomodo su cui vincere facilmente.
Le proteste messe in atto dagli studenti della Humboldt hanno rimescolato le carte in tavola focalizzando l’attenzione sulla questione della ricerca libera, critica e impegnata. La loro protesta ha contribuito all’inversione di marcia nella decisione della Kunst, e alla riassunzione di Holm. Un grande successo per la mobilitazione studentesca e transnazionale, che risalta la grande figuraccia della Humboldt. Politicamente, le speranze in una coalizione progressista di governo della città (Spd, Verdi e Linke) che si incarichi di attuare un’agenda dettata dai movimenti, si rivelano da subito molto precarie. La forte mobilitazione seguita al doppio licenziamento di Holm è da spiegarsi proprio con la delusione di movimenti e studenti rispetto alla menzogna originaria: quella di una coalizione che ha promesso una svolta radicale e progressista su casa e abitare.