Monica Ferrando: «Nell’era della ‘comunicazione globale’ che impone al globo una sola cultura tra le tante meravigliose che esso aveva in sé generato, quella dell’occidente vittorioso per meriti bellico-tecnologici, il Personaggio è strategico. Reso oggetto di culto di massa, gli è affidata ancora oggi l’efficacia del ‘confronto’ democratico. L’idolatria del Personaggio genera uno ‘stato d’eccezione’ vivente con cui è impossibile identificarsi, se non narcisisticamente, impedendo quei processi interiori di autoaccettazione, autoironia e autocritica vitali nella costruzione di un organismo sociale sano, maggiormente garantiti invece dal Carattere, la cui funzione intimamente sociale è stata posta in luce da Bergson (Il riso, 1900)».

Sarantis Thanopulos: «Hai riassunto in modo esemplare la questione del Personaggio, un’ombra parlante e perturbante sulla nostra epoca. Il Personaggio sta assorbendo la ‘persona’, l’equilibrio instabile, ma generativo, tra il nostro modo intimo, particolare di essere nel mondo (ispirante la ‘parole’) e la maschera del nostro ruolo sociale, l’apparire nello spazio strutturato dal linguaggio (la ‘langue’). Abolisce la distinzione tra pubblico e privato, tra soggettivo e oggettivo e tra simbolo e cosa simboleggiata. È un ‘idolo’: parvenza, simulacro, fantasma. La sua adorazione lo costituisce come ‘eccezione alla vita’».

Monica Ferrando: «L’enfasi sul Personaggio risale alla Tragedia, che perpetua la pigra abitudine all’idolatria, funzionale alle politiche di potere fondate sulla figura del leader (maschio o femmina che sia). Con il gioco dei Caratteri la Commedia rimescola continuamente le carte del gioco politico impedendo la fissazione narcisistica dell’ego, in una condizione di non riconquistata, ma sempre riconquistabile e ripristinabile, parità, codice poetico di una politica che ritrova la ‘semplicità naturale’: un rapporto col linguaggio in cui l’essere umano si appropria spiritualmente, e non solo cognitivamente, della coscienza dei suoi limiti riuscendo a farne tesoro, aprendo a un’esigenza di divino che può compiersi incessantemente nell’immaginazione, secondo quelle differenze e intonazioni irriducibili l’una all’altra che sono tipiche del nomos musicale. Per questo prodursi creativo della coscienza non c’è bisogno di invocare coperture religiose istituzionali: si tratta infatti di uno spazio poetico-teologico apofatico, affrancato da quei meccanismi di inclusione/esclusione con cui ogni seriosa e narcisista ideologia della città ha da sempre difeso, anche ipocritamente ex contrario, il suo chiuso arroccamento».

Sarantis Thanopulos: «Condivido pienamente la tua distinzione tra Personaggio e Carattere. I caratteri sono configurazioni di modi di sentire, pensare e agire che rendono rappresentativo il singolare e sono refrattari al ‘tipico’. Uniscono il particolare all’universale, ciò conferisce loro un’importante funzione socializzante. Capisco meno la critica alla Tragedia, anche se intuisco che è rivolta all’apparato politico-religioso della sua ‘produzione’ e all’imperialismo estetico che ha trasformato i ‘personaggi’ di Edipo e Antigone in Personaggi di culto. Se consideriamo però le opere tragiche in se stesse, diventa chiaro, del resto Aristotele l’aveva capito, che la tragedia come ‘imitazione d’azione’ crea lo spazio per un agire potenziale, esplorativo, non chiuso nel suo scopo e nella sua concretezza. I protagonisti sulla scena sono ‘ethi’, caratteri etici (non psicologici): pongono, con il loro fallimento, questioni che riguardano il nostro modo di concepire il vivere. Il divino è lo sguardo poetico con cui gli amanti (fondamento della città) oltrepassano costantemente la loro immanenza, includendosi in ciò che escludono».