«Quella sera Di Bernardo e D’Alessandro non erano in servizio, ma loro erano soliti lavorare anche in borghese e fuori dal servizio perché il Maresciallo Mandolini, il quale era Comandante Interinale e premeva perché si facessero molti arresti in modo da fare bella figura, consentiva loro di lavorare in borghese e di aggregarsi quando c’erano arresti o sequestri. In tal modo Di Bernardo e D’Alessandro comparivano nei verbale di arresto o sequestro anche quando erano fuori dal servizio, poi venivano inseriti nei servizi e prendevano lo straordinario».

Il 9 luglio 2018, a Piazzale Clodio, davanti al procuratore capo di Roma Giuseppe Pignatone e al pm Giovanni Musarò che lo interrogano, Francesco Tedesco, il carabiniere imputato nel processo per la morte di Stefano Cucchi, ricostruisce così i fatti «descritti nella denuncia depositata in data 20 giugno 2018 presso gli uffici della procura di Roma». E, al di là della vicenda specifica, regala uno spaccato inquietante di come lavorano in alcuni casi le nostre forze dell’ordine.

NEL SEGUITO DELLA deposizione il carabiniere – che è stato poi riascoltato dai magistrati anche il 26 settembre e l’8 ottobre 2018 – descrive il «battibecco» che scoppiò tra Cucchi e Di Bernardo al momento del fotosegnalamento a cui Stefano voleva sottrarsi. L’operazione si svolse dentro la stazione Casilina, subito dopo la perquisizione in casa dei genitori di Cucchi. Gli animi si scaldarono e Stefano, secondo Tedesco, face perfino il gesto di dare uno schiaffo a Di Bernardo, ma lo mancò. Mandolini, sentito telefonicamente, ordinò loro di rientrare nella caserma Appia. Uscendo, si legge nel verbale, Cucchi procedeva tra Di Bernardo e D’Alessandro.

«A questo punto Cucchi e Di Bernardo ricominciarono a discutere e iniziarono a insultarsi, per cui il Di Bernardo si voltò e colpì Cucchi con uno schiaffo violento in pieno volto. Allora il D’Alessandro diede un forte calcio al Cucchi con la punta del piede, all’altezza dell’ano. Nel frattempo io mi ero alzato e avevo detto “basta finitela!! che cazzo fate! non vi permettete”, ma Di Bernardo proseguì nell’azione, spingendo con violenza il Cucchi e provocandone una caduta in terra sul bacino, poi batté anche la testa. Fu un’azione combinata, Cucchi prima iniziò a perdere l’equilibrio per il calcio di D’Alessandro poi ci fu la violenta spinta di Di Bernardo che gli fede perdere l’equilibrio provocandone una violenta caduta sul bacino. Anche la successiva botta alla testa fu violenta – prosegue Tedesco – ricordo di avere sentito il rumore. Nel frattempo mi alzai, spinsi Di Bernardo, ma prima che potessi intervenire D’Alessandro colpì con un calcio in faccia Cucchi mentre questi era sdraiato a terra. Finalmente spinsi via D’Alessandro e intimai loro di smetterla».

Durante il viaggio di ritorno verso la caserma Appia, «Cucchi era molto provato e sotto shock», secondo il carabiniere “pentito”. Giunti sul posto, «ogni tanto chiedeva il metadone e il Rivotril ma non si lamentava per le lesioni». Tedesco però non sa dire «se poi all’interno della caserma accadde qualcos’altro», perché si allontanò da Cucchi e, dice, lo «persi un po’ di vista».

«QUANDO LA NOTIZIA della morte di Stefano Cucchi esplose mediaticamente io decisi di confidarmi con il collega Vincenzo Nicolardi», il quale «senza dirmi che era già a conoscenza di quanto accaduto, mi consigliò di attestare tutto questo in un’annotazone di servizio, di depositarla e di protocollarla». Tedesco lo fece e le annotazioni finirono in un fascicolo dalla copertina rossa. Il carabiniere si aspettava di essere a breve convocato da Mandolini, «consapevole» della gravità delle accuse che rivolgeva ai suoi colleghi. E invece scoprì «che le due annotazioni erano scomparse». «A quel punto iniziai ad avere paura per una serie di ragioni».

Per esempio, «assistetti personalmente ad una telefonata fatta dal Mandolini al comando stazione di Tor Sapienza» per chiedere «di modificare le annotazioni redatte dai militari in servizio nella notte del 16 ottobre 2009» (dopo l’arresto, ndr). «Iniziai ad avere paura anche per un’altra ragione e cioè perché quando ero in ferie fui contattato da D’Alessandro e Di Bernardo i quali mi dissero che avrei dovuto farmi i cazzi miei. Il D’Alessandro, inoltre, mi aveva detto di aver cancellato quanto lui aveva scritto sul registro del fotosegnalamento». E anche Mandolini, riferisce ancora Tedesco secondo il verbale, pur non micacciandolo esplicitamente, «aveva un modo di fare che non mi faceva stare sereno». Ma poi, prima di recarsi a Piazzale Clodio per il primo interrogatorio dei pm, Mandolini divenne esplicito e gli disse: «Tu gli devi dire che stava bene, gli devi dire quello che è successo, che stava bene e che non è successo niente… capisci a me, poi ci penso io, non ti preoccupare». In sostanza, gli disse – come puntualizza Tedesco nel successivo interrogatorio del 26 settembre scorso – «di stare tranquillo e adeguarmi alla linea dell’Arma, altrimenti avrei perso il posto di lavoro».