A 81 anni fa sempre notizia. Horst Mahler, rinchiuso nel carcere del Brandeburgo, sfoglia il fascicolo personale aggiornato dalla Procura di Cottbus.

INCARNA LA STORIA TEDESCA, prima e dopo il crollo del muro di Berlino. È il paradosso vivente della «rivoluzione armata» e dell’eterno ritorno del Reich. Lo specchio della Germania che nell’arco di mezzo secolo riflette l’utopia del terrorismo e il fantasma del nazismo.

Horst Mahler uomo di legge e imputato, militante e ideologo, geniale e imprevedibile. Un tedesco letteralmente eccezionale. L’ultima accusa a suo carico è «propaganda antisemita», diffusa dalla cella attraverso un opuscolo che riecheggia Hitler. Secondo lui, prova che «lo Stato punta alla soluzione biologica». Il finale della paradossale, schizofrenica, incredibile parabola politica e umana. Dalla fondazione della Rote Armee Fraktion negli anni ’70 a martire vivente dell’ultra-destra in versione Npd. Senza mai rinnegare nulla.

OGGI HORST MAHLER soffre di diabete con cuore e reni compromessi, sconta la pena di dieci anni sentenziata nel 2009 per aver incitato i tedeschi a «combattere gli ebrei». Rilasciato l’anno scorso su una gamba sola, è fuggito in Ungheria.

Ma da ottobre, di nuovo, è detenuto. Nato a Haynau (ora Chojnów in Polonia) il 23 gennaio 1936, è il terzo dei quattro figli del dentista Willy, convinto nazista, suicidatosi nel 1949. Mahler era fuggito con la famiglia all’arrivo dell’Armata Rossa. Fin dall’inizio, l’esistenza di Horst Mahler oscilla fra lo «spirito del tempo» e l’ostinata volontà di poterlo cambiare.

E lui si dimostrerà sempre tetragono nelle convinzioni «rivoluzionarie» con le armi del popolo: all’epoca della Raf, come riarmando il negazionismo antisemita a favore del sovranismo della destra più nostalgica. Studia Giurisprudenza a Berlino da borsista della Studienstiftung des deutschen Volkes, nel 1956 entra nella Spd e poi cerca inutilmente di diventare giornalista. Nel 1964 Mahler apre lo studio legale a Berlino Ovest: assistenza alla piccola e media impresa. Difende il broker Karl-Heinz Wemhoff e così diventa il primo avvocato tedesco a vincere una causa alla Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo.

A 34 ANNI, MAHLER partecipa alla fondazione della Rote Armee Fraktion. Imbraccia le armi, rapina banche, si addestra in Giordania. Lo arrestano l’8 ottobre 1970: processato e condannato a 14 anni. In tribunale è difeso da Otto Schily (destinato a diventare ministro dell’interno nel 1998) che gli regala l’opera omnia di Hegel.

Nel 1975 la Raf rapisce Peter Lorenz, candidato Cdu alle elezioni federali di Berlino Ovest: il nome di Mahler compare nell’elenco dei “prigionieri politici” da rilasciare, ma lui si presenta in televisione orgoglioso di rifiutare l’eventuale scambio con l’ostaggio. Mahler ottiene la libertà nel 1980: ha scontato due terzi della pena e conta sull’avvocato Gerhard Schröder, futuro cancelliere Spd. Nel 1987 viene riabilitato anche alla professione forense. Sembra una vicenda simile a tante altre nella galassia europea del «partito armato».

E NELLA GERMANIA DIVISA in due assume ulteriore valore simbolico. Tuttavia, l’avvocato Mahler regala l’ennesimo colpo di scena. A Stoccarda, pronuncia il 1 dicembre 1997 un discorso in perfetta sintonia con i neonazisti. Invita la «Germania occupata» a liberarsi dalla schiavitù dei debiti post-unificazione e a riprendere «l’orgoglioso cammino dell’identità nazionale».
Così fra il 2000 e il 2003 Mahler è associato al Npd, tanto che lo rappresenta legalmente davanti alla Corte costituzionale, impegnata nel tentativo di mettere fuorilegge l’organizzazione neo-nazista. Non basta. Horst fonda la «Lega per la riabilitazione dei perseguitati a causa della contestazione dell’Olocausto» (vietata dal 2008) e assume intransigenti posizioni antisemite, farneticando esplicitamente di Quarto Reich. Gli viene ritirato il passaporto, colleziona una raffica di condanne, finché nel 2009 rientra in cella: l’istigazione all’odio razziale assomma 12 anni di pena. E le autorità provvedono anche a ritirargli la licenza da avvocato.

TRA NOVEMBRE 2012 e marzo 2013 Mahler compila in carcere oltre 200 pagine intitolate «La fine del vagabondaggio”: catalogato come antisemita, fa scattare il sequestro del pc e drastici controlli sui suoi contatti con l’esterno. Nell’estate 2015 ottiene la sospensione della pena: un’infezione culminata in sepsi impone l’amputazione della gamba. Dopo le cure in ospedale, ottiene la libertà sulla parola: revocata nel 2016 dalla Corte d’appello del Brandeburgo, secondo cui possiede una «consolidata struttura personale criminale». Il 15 maggio scorso Mahler fa sapere via internet di essere stato arrestato in Ungheria. La notizia è confermata dal procuratore generale di Monaco, già allertato dalla richiesta di asilo politico a Orbàn, depositata 72 ore prima.

«HO CHIESTO AL CAPO della nazione ungherese, di concedermi la protezione. Rimetto il mio destino alla fiducia nel senso della libertà degli ungheresi e del loro governo» rivela Mahler con firma manoscritta il 12 maggio. Fine della fuga dalla Germania, cominciata ad aprile. E schiaffo in faccia del leader di Budapest, «amico» fino a un certo punto: l’ambasciata ungherese a Berlino sottolinea che il governo Orbàn non sa nulla della domanda di accoglienza e «suggerisce» a Mahler (via Facebook) di ritirarla, subito. In parallelo i diplomatici chiudono formalmente il caso, ricordando che «la Germania è uno stato costituzionale dell’Ue, proprio come l’Ungheria. La richiesta al nostro primo ministro per ciò è priva di fondamento».

MAHLER, che contava sulla «generosità di un Paese sovrano ricettivo», raccoglie la Realpolitik di un premier altrettanto xenofobo, eppure indisponibile ad aprire una crisi con la cancelliera Angela Merkel. È estradato, riveste i panni del detenuto in Brandeburgo, torna a meditare sul suo corposo fascicolo penale e assiste allo storico ingresso dei 94 deputati Afd nel nuovo Bundestag.

Per di più si ritrova legalmente accerchiato perfino sul fronte «familiare»: il 22 maggio il Tribunale di Monaco ha aperto il processo per sedizione contro l’ex fidanzata Sylvia Stolz, 54 anni, ex avvocata che nel 2015 era finita in prigione per 20 mesi dopo aver più volte pubblicamente negato l’Olocausto. L’ennesimo capitolo nero nella storia di Horst Mahler, 81 anni.