Oltre 50 persone salvate da un probabile naufragio attendono da quattro giorni un porto sicuro. Con loro Mohammad Shaaban, capitano coraggioso della nave cargo Talia, e il suo equipaggio. «Ho fatto tutto quello che potevo, adesso tocca alle autorità», racconta al manifesto Shaaban con voce disperata. Venerdì 3 luglio i marinai hanno ricevuto un Sos dall’aereo Seabird della Ong Sea-Watch con le coordinate di un’imbarcazione in difficoltà in zona Sar maltese, ma in linea d’aria più vicina a Lampedusa (a circa 60 miglia nautiche). Hanno invertito la rotta e l’hanno raggiunta, facendo salire i migranti a bordo quando le loro condizioni sono peggiorate e il calare del sole li metteva in pericolo di vita. Aveva ricevuto questa indicazione dall’aereo militare maltese Missions21. I centri di soccorso di Roma e La Valletta si sono rimpallati per giorni le responsabilità, negando a Talia di trovare riparo nelle rispettive acque territoriali persino durante una tempesta. Adesso la nave battente bandiera libanese è ancorata a meno di due chilometri e mezzo dalla costa sud-orientale di Malta, ma non ha il permesso di sbarcare.

Mohammad Shaaban, capitano del cargo Talia

Com’è la situazione a bordo?

Sto valutando di dichiarare lo «stato di emergenza» e fare ingresso in porto. La situazione peggiora rapidamente. Il cibo è quasi finito. Ho fatto tutto quello che potevo. Le autorità maltesi non fanno scendere queste persone. Abbiamo bisogno di aiuto. I migranti sono in condizioni difficili, stanno soffrendo molto. Due sono stati fatti sbarcare per il terribile stato di salute, ma anche gli altri 50 non stanno bene. Soprattutto cinque di loro. Sono denutriti, sono stati molti giorni in mare, sotto il sole. Non ho medicine per curarli. I maltesi non rispondono più. Presto non avrò cibo e acqua.

Il salvataggio è stato coordinato da La Valletta?

Sì. Il 3 luglio stavamo navigando dalla Libia alla Spagna, eravamo a circa 60 miglia da Lampedusa ma in zona Sar maltese. Seabird, aereo della Ong Sea-Watch, ci ha chiamato e indicato la posizione di una barca in difficoltà. Ci siamo diretti sul posto. Dopo mezz’ora abbiamo individuato le persone in difficoltà. Seguendo le indicazioni delle autorità maltesi le abbiamo tirate fuori dall’acqua. Siamo rimasti in attesa di una nave militare di La Valletta che sarebbe dovuta arrivare in 4 ore per il trasbordo. Non l’abbiamo mai vista. Dopo molte chiamate ci hanno comunicato che non sarebbe arrivata a causa del cattivo tempo, nonostante fosse vicina alla nostra posizione.

E poi?

Ci siamo diretti verso Lampedusa per cercare riparo dal maltempo ma ci hanno negato l’ingresso nelle acque territoriali. La Guardia costiera di Palermo ci ha avvisato di lasciare immediatamente le acque territoriali italiane e andare a Malta. Intanto i maltesi ci hanno vietato di entrare nel loro territorio. Abbiamo chiamato molte volte il centro di soccorso marittimo di La Valletta dicendo che c’era cattivo tempo e i migranti erano in cattive condizioni di salute. Sono stato costretto ad accomodarli nel ponte numero 6, quello dove trasportiamo gli animali. Nessun uomo dovrebbe stare là. È ancora sporco dall’ultimo trasporto e questo è pericoloso per la salute. Ma l’altro ponte disponibile, quello in alto, scoperto, era troppo pericoloso: c’erano onde alte e avevo paura che le persone cadessero in acqua. Nella notte tra sabato e domenica Malta ci ha dato il permesso di ancorarci. Ma non di sbarcare. Oggi [ieri per chi legge, ndt] mi hanno detto di togliere l’ancora e attendere istruzioni. Ho paura che mi dicano di andarmene. Ma non lo farò. Non abbiamo più carburante, cibo, acqua. La situazione peggiorerebbe. Devono fare sbarcare queste persone.

Le persone costrette a dormire sul ponte sei

In rete molta gente vi chiama eroi. Che effetto fa?

Il compito mio come capitano e di tutto l’equipaggio è salvare vite umane in qualsiasi luogo, in qualsiasi condizione. È la nostra tradizione di uomini di mare. Io poi sono di Damasco, so cos’è la guerra. Quello che non capisco è perché Malta non ci aiuti, perché ci ha chiesto di salvare le persone e poi non le fa sbarcare.

Questo blocco vi sta producendo un danno economico?

Il 6 luglio avremmo dovuto prendere un carico nella città spagnola di Cartagena. Il programma della nave è saltato. Il carico è cancellato. E la situazione a bordo è pessima: per l’equipaggio, per la nave, per i migranti.

Vi siete pentiti di aver salvato queste persone?

No. Sono orgoglioso di averlo fatto. Sono orgoglioso di averle a bordo. Io e la mia compagnia non siamo pentiti. Dio ci aiuterà.

Lo rifareste?

Certo.