Il primo di febbraio si è spento a 71 anni Dennis Peron, considerato da molti il padre della cannabis libera in California. Peron era giunto a San Francisco negli anni ’70 nel pieno della gay scene di cui era stato animatore militante accanto ad Harvey Milk, l’assessore e leader del movimento, assassinato nel 1978. «Ero solo un altro frocio arruolato nell’aeronautica per scappare di casa», diceva della leva passata in Vietnam.
In quel conflitto, assieme all’allergia per l’autorità aveva scoperto le canne. Durante la crisi Aids che decimò la comunità omosessuale di San Francisco, Dennis era divenuto convinto fautore delle qualità curative dell’erba. In seguito negli anni ’90, all’apice della war on drugs, aveva fondato il San Francisco Cannabis Buyers Club, il collettivo, modellato su quelli che procuravano farmaci sperimentali ai sieropositivi, distribuiva marijuana ai membri iscritti e fu precursore delle «farmacie» divenute ubique in seguito al referendum del 1996 ed il passaggio della legge 215, che lo stesso Dennis aveva contribuito a scrivere.

ERA STATO AL SECONDO PIANO DEL VECCHIO EDIFICIO del SFCBC – il buyers club su Market Street, in cima alle scricchiolanti scale di legno – che lo avevo incontrato per la prima volta circondato da una colorita compagnia di capelloni, ex hippie, motociclisti e militanti di cui Frisco era allora ancora ben fornita. Mi aveva fatto fare un giro dei locali in cui l’attività ferveva come in una redazione di un rivista politica immersa in una spessa nebbia fumosa. Mi aveva spiegato allora come un movimento di base avrebbe potuto un giorno portare alla liberalizzazione, o almeno alla depenalizzazione del cannabis in uno stato in cui la maggioranza la favoriva. Nel 1996 il referendum per cui era riuscito a raccogliere le firme gli avrebbe dato ragione, aprendo l’era della «medical Marijuana» durata 20, anni fino al primo gennaio di quest’anno cioè quando è entrata in vigore la legge approvata sulla definitiva liberalizzazione del cannabis per uso «ricreativo».

OGGI LA CALIFORNIA HA RAGGIUNTO COLORADO, Washington, I’Oregon, Nevada, Maine e Massachussetts (oltre a Washington DC) come stato dalla marijuana libera. Un’altra ventina di stati hanno normative per l’uso terapeutico, altri ancora prevedono di indire referendum entro quest’anno – il sogno di Dennis sembra infine essersi avverato e mi pare di vedere i suoi ammiccanti occhi da ribelle. Ma l’ironia vuole che Dennis difficilmente riconoscerebbe la «sua» la California. L’Era del business del Cannabis ha infatti poco a che vedere con la banda di irriducibili che organizzava quei primi collettivi nel Bay Area rimediando querele a ripetizione, sgomberi, scontri con la polizia (lui era stato perfino ferito alla gamba da un colpo di pistola sparato da un agente). La nuova era del cannabis è fatta di apps, pubblicità, controlli statali, marketing e boutique di lusso e molti dei clienti più giovani che fanno la fila per acquistarvi i 28 grammi quotidiani consentiti dalla legge (sei volte il limite consentito ad Amsterdam), difficilmente sanno cosa c’è voluto per arrivare fin qui.

AD UN MESE E MEZZO DALL’APERTURA, davanti al Med Men, la fiammante nuova cannaboutique su Santa Monica boulevard, negli orari di punta c’è ancora oggi una fila come quelle che di solito si vedono per l’uscita di un nuovo i-phone. Ed i negozi di questa azienda leader del settore sono chiaramente ispirati agli Apple store. All’interno, quando dopo l’attesa l’agente della sicurezza ti fa cenno di entrare, si apre un ampio locale ben illuminato in cui sono allineati diversi banconi di vetro e betulla. Invece di gadget elettronici, su ognuno sono disposte file ordinate di prodotto, a cominciare dal reparto «fiori» – resinosi buds di una dozzina di varietà in appositi container campionari con compartimenti scorrevoli per degustare l’aroma. Vicino ad ogni campione, su un i-pad si possono scorrere le caratteristiche organolettiche di ognuno, percentuale di THC e le caratteristiche di ogni varietà (sativa, indica o ibridata a seconda del caso). Su un bancone vicino ecco il display dei vaporizzatori, riutilizzabili o monouso: gli articoli più attualmente richiesti mi informa un «bud tender», come vengono chiamati i solerti commessi in identica t-shirt rossa (sempre secondo il modello Cupertino) – specialmente il modello con vibratore incorporato che si attiva dopo la dose ottimale («utile per i meno esperti»). Altrove una profusione di tinture, balsami e creme le cui confezioni elencano le doti benefiche e antidolorifiche. Sono i prodotti a base di cannabidiolo (CBD), una componente non psicoattiva della cannabis sativa che ha effetti rilassanti, antiossidanti, e antinfiammatori e che da solo costituisce un settore in forte crescita. Infine i display dei dolci dolcetti, barrette nutrienti, pastiglie cristalli… anche in confezioni regalo e sempre con le percentuali di THC meticolosamente indicate (e gli avvertimenti di andare piano con i commestibili dato che gli effetti con questo tipo di assunzione possono tardare anche un’ora e passa e risultare assai sgradevoli per chi si fa prendere dalla fretta).

OVUNQUE È EVIDENTE L’ACCORTO LAVORO DI DESIGN – dai locali alla grafica delle confezioni, oltre all’attento servizio clienti, le specialità di Med Men che oggi impiega oltre 700 persone in tre stati . I due fondatori, Adam Bierman e Andrew Modlin, sono trentenni che inizialmente operavano una società di marketing e management che progettava siti web e punti vendita per yogurterie, ma dal 2010 hanno puntato sulla consulenza «di immagine» per le farmacie prima di entrare direttamente nella produzione e distribuzione con l’intento dichiarato di «ridefinire il ruolo sociale della cannabis». Quella conversione è senz’altro in corso.

Da gennaio è ufficialmente operativo il Bureau of Cannabis Control, l’authority californiana con giurisdizione sulla nascente industria dell’erba, incaricata di rilasciare licenze di coltivazione, distribuzione, manifattura, analisi e dettaglio e raccogliere le imposte del 15% previste dalla legge . Ma il passaggio dal «mercato grigio» in vigore finora al commercio aperto è tuttora un work in progress. I punti vendita Med Men ad esempio si trovano attualmente a West Hollywood e Beverly Hills; Los Angeles, come diverse altre città, non ha infatti ancora definito le norme per convertire le centinaia di «farmacie» in normali negozi. Intanto da qualche settimana in città, accanto alle pubblicità di bibite e film in uscita, sono spuntati i primi vistosi manifesti della Med Men con lo slogan: «Fai Shopping – è legale!». A migliaia ogni giorno raccolgono l’invito: per il 2018 in California è previsto un volume di affari complessivo di $8 miliardi.

MED MEN È IL NUOVO VOLTO DEL CANNABUSINESS che, rimosso anni luce dalle radici contro culturali dell’erba, sposa l’approccio apertamente capitalista alle canne. Nel ventennio «terapeutico» si è andata sviluppando una corrente fortemente «liberista» di imprenditori del cannabis che ora mirano a replicare il successo del modello «agribusiness» su cui sono state costruite le fortune del paniere californiano. Il cannabis è ora considerata ufficialmente la «nuova febbre dell’oro» ed esprime già personalità che ricordano sia i venture capitalist di Silicon Valley che certe figure colorite della discografia hip-hop; uomini come Michael «Big Mike» Starumieitis, presidente della Advanced Nutrients, di origini bulgare e noto sul circuito delle fiere campionarie per i suoi 2 metri d’altezza; Big Mike, che gestisce un fatturato annuo di $90 milioni, è celebre per i party nella villa di Malibu e la sua Ferrari decorata con foglie di maria. Starumieitis ha un passato avventuroso punteggiato di denunce, fughe e latitanze risalenti ai tempi del proibizionismo – ma gli imprenditori del futuro invece sono sempre di più destinati a seguire il modello manager Silicon Valley, quello di Bierman e Modlin, con capitalizzazioni di mercato e senza dubbio prossime quotazioni in borsa.

MENTRE NELLE CITTÀ ESPLODE IL BUSINESS la normalizzazione ha inciso fortemente sul vecchio modello artigianale. A Humboldt, nel cuore del triangolo di smeraldo dove da decenni viene coltivato l’oro verde ( e dove si era ritirato Dennis Peron), la depenalizzazione rischia paradossalmente di infliggere un colpo mortale ai piccoli agricoltori che negli anni hanno sviluppato leggendarie varietà come l’ OG Kush, Sour Diesel e il Green Crack che hanno reso celebre l’erba californiana. «Negli ultimi mesi abbiamo assistito ad un tracollo dei prezzi», mi dice Nate dalla sua piccola fattoria sulle alture boscose nei pressi di Garberville. Mentre i prezzi al dettaglio nelle boutique sono semmai lievemente saliti, infatti, la legalizzazione ha determinato un impennata nell’offerta ed il crollo dei prezzi all’ingrosso dai $3200/kg di tre anni fa a meno di $1000/kg. «La fine della repressione ha determinato un eccesso di produzione», spiega Nate, «molti di noi sono meglio preparati alla coltivazione fuorilegge che non a competere con le operazioni industriali che si stanno avviando ovunque». Molti «piccoli artigiani» preferiscono ora abbandonare la coltivazione piuttosto che far fronte alla burocrazia delle licenze, contributi e normative strutturali che rendono la loro passione molto più simile ad un attività commerciale qualunque. «È davvero difficile per un sacco di gente qui adeguarsi alle norme e gli investimenti necessari», conclude Nate. «Le eccellenze del coltivatore ribelle mal si adattano al business legale». Nella regione si spera ora in una designazione DOC che possa stimolare un industria turistica a base di degustazioni e bed and breakfast, simile all’indotto vinicolo della vicina Napa Valley, ma la realtà è che molti vecchi hippie stanno mollando accontentandosi delle sei piante permesse per uso personale. Paradossalmente su questo sfondo Jeff Session, l’attorney general di Trump e storico proibizionista, spinge per una stretta di vite ed un ritorno al pugno di ferro che per decenni ha riempito le carceri nazionali di condannati per droghe leggere. La guerra del Cannabis in California potrebbe non essere ancora finita.